Salutiamo voi che, uniti a Gesù Cristo,
siete diventati il popolo di Dio
insieme con tutti quelli che, ovunque si trovino,
invocano il nome di Gesù Cristo, nostro Signore.
Dio, nostro Padre,
e Gesù Cristo , nostro Signore,
diano a voi grazia e pace. (1 Cor 2-3)


POPOLO DI DIO:

Chiamati ad esseresanti insieme

PERCHE’ ANGULO?
Ai tempi di San Giovanni di Dio, c’era un uomo di nome Giovanni d’Avila - da non confondere con il Santo suo direttore spirituale - che, oltre ad essere un caro amico, era diventato l’uomo di fiducia, il suo braccio destro.
Egli lo chiamava familiarmente ANGULO.
Oggi noi lo ricordiamo proprio perché il suo nome viene ripetutamente menzionato o sott’inteso nelle Lettere.
« Verrà lì Giovanni d’Avila, che è il mio compagno, benché io lo chiami sempre Angulo: però il suo vero nome è Giovanni d’Avila » (68). Sorella mia molto amata, buona duchessa di Dessa, mandatemi un altro anello o qualsiasi altro vostro monile, affinché abbia che impegnare…(69) (II Lettera alla duchessa di Sessa)
« …Se a Gesù Cristo piacerà togliermi da questa vita presente, lascio qui disposizioni per quando tornerà il mio compagno Angulo, che si è recato a Corte, e lo raccomando a voi, poiché si ritrova assai povero lui e sua moglie! . (16). (III Lettera alla Duchessa di Sessa).
Il suo matrimonio con Beatrice De Ayvar fu celebrato all’interno dell’Ospedale il 14 Maggio 1549.
Il primo suo figlio Giovanni, nacque il 20 Marzo 1550, a soli dodici giorni dalla morte di San Giovanni di Dio; seguirono Filippa nel 1552, Pedro nel 1554 e Alonso nel 1556.
Vn. M. De Mina, Angulo = Juan de Avila. Prototipo del tranajador cristiano en el primewro Hospital de San Juan de Dios, in « Eermanos Hospitalarios », 163: 110-113, 1991
Un buon motivo per dedicare ad ANGULO un meritato posto nel web. Ma anche per rinsaldare con il Santo di Granada un’antica alleanza e rinvigorire passioni giovanili disperse in tutte le latitudini.

Video Apocalisse di San Giovanni …
« Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le … »

LA CHIESA
.
POPOLO DI DIO
La messa in risalto di Chiesa popolo di Dio viene dal Concilio Vaticano II, (1Cor 2-3) .
Scriveva il Card. Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino:
« Non un agglomerato di gente, non una massa di gente che si trova lì per caso. No, ma un popolo che racoglie in sé tutti i batezzati, che hanno in comune qualcosa di profondo, di grande.
Quando si dice « popolo di Dio » vuol dire che prima di qualsiasi istituzione gerarchica, di qualsiasi differenza, tra preti, vescovi, laici, c’è qualcosa che accomuna tutti i batezzati, tutti i credenti in Cristo, in una unità, in una comunione…
Tuttavia si tratta di una comunità articolata, non indiferenziata. Non siamo chiamati a fare tutti le stesse cose, tutti allo stesso livello. Una comunità differenziata in cui c’è una distinzione di ministeri…
E specificava:
- Un cristianesimo cosciente…
- Un cristianesimo critico…
- Cristiani corresponsabili…
- Essere coerenti…
- Essere aperti all’uomo…
- Apertura al mondo…
- Apertura agl’ultimi…
- Apertura a Dio.
Ultima in ordine di tempo, ma non in ordine di importanza. Anzi la dico alla fine, proprio per insistere sull’importanza di questa sigenza. Ho detto: apertura all’uomo, e ora dico apertura a Dio. Del resto, senza l’apertura a Dio non c’è vera e completa apertura ai fratelli ». (Maglie, Lecce , 1979)
« Mi commuovo quando penso ai mesi in cui il padre, una volta alla settimana, scendeva lo scalone dell’Arcivescovado, bussava alla porticina d’ingresso della nostra sede, si sedeva con noi attorno al tavolo, nella sacrestia e ci spiegava il Vangelo di Giovanni. Una cinquantina di ragazzi, un registratore e lui, il cardinale, con la paternità e l’affabilità che lo distinguevano, ci educava al gusto della Parola. » (Ernesto Oliviero)
781 « In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la sua giustizia.
Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse.
Si scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un’alleanza e lo formò progressivamente [...].
Tutto questo però avvenne in preparazione e in figura di quella nuova e perfetta Alleanza che doveva concludersi in Cristo [...] cioè la Nuova Alleanza nel suo sangue, chiamando gente dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito » 206
Le caratteristiche del popolo di Dio
782 Il popolo di Dio presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da tutti i raggruppamenti religiosi, etnici, politici o culturali della storia:
— È il popolo di Dio: Dio non appartiene in proprio ad alcun popolo. Ma egli si è acquistato un popolo da coloro che un tempo erano non-popolo: « la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa » (1 Pt 2,9).
— Si diviene membri di questo popolo non per la nascita fisica, ma per la « nascita dall’alto », « dall’acqua e dallo Spirito » (Gv 3,3-5), cioè mediante la fede in Cristo e il Battesimo.
— Questo popolo ha per Capo Gesù Cristo (Unto, Messia): poiché la medesima unzione, lo Spirito Santo, scorre dal Capo al corpo, esso è « il popolo messianico ».
— « Questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio ». 207
— « Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati ». 208 È la legge « nuova » dello Spirito Santo. 209
— Ha per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo. 210 « Costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza ». 211
— « E, da ultimo, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento ». 212
Un popolo sacerdotale, profetico e regale
783 Gesù Cristo è colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito « Sacerdote, Profeta e Re ». L’intero popolo di Dio partecipa a queste tre funzioni di Cristo e porta le responsabilità di missione e di servizio che ne derivano. 213
784 Entrando nel popolo di Dio mediante la fede e il Battesimo, si è resi partecipi della vocazione unica di questo popolo, la vocazione sacerdotale: « Cristo Signore, Pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo « un regno e dei sacerdoti per Dio, suo Padre ». Infatti, per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo ». 214
785 « Il popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo ». Ciò soprattutto per il senso soprannaturale della fede che è di tutto il popolo, laici e gerarchia, quando « aderisce indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi » 215 e ne approfondisce la comprensione e diventa testimone di Cristo in mezzo a questo mondo.
786 Il popolo di Dio partecipa infine alla funzione regale di Cristo. Cristo esercita la sua regalità attirando a sé tutti gli uomini mediante la sua morte e la sua risurrezione. 216 Cristo, Re e Signore dell’universo, si è fatto il servo di tutti, non essendo « venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti » (Mt 20,28). Per il cristiano « regnare » è « servire » Cristo, 217 soprattutto « nei poveri e nei sofferenti », nei quali la Chiesa riconosce « l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente ». 218 Il popolo di Dio realizza la sua « dignità regale » vivendo conformemente a questa vocazione di servire con Cristo.
« Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello Spirito Santo sono consacrati sacerdoti. Non c’è quindi solo quel servizio specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani, rivestiti di un carisma spirituale e usando della loro ragione, si riconoscono membra di questa stirpe regale e partecipi della funzione sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un’anima governi il suo corpo in sottomissione a Dio? Non è forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull’altare del proprio cuore i sacrifici immacolati del nostro culto? ». 219

FORUM | BLOG


GR = a: « …ci educava al gusto
della Parola.” (Ernesto Oliviero)

LA TRADIZIONE: Giovanni evalgelista, Agostino vescovo, Raffaele arcangelo, Giovanni di Dio, Giovanni Grande…
E ancora: Riccardo, Benedetto, i Martiri della Sagna, Olallo, Eustachio, i Venerabili…alla scuola di Maria, per il momento, la sola donna. Ma quante Marie di Magdala dietro le quinte…!
Chi pensasse alla GLOBULI ROSSI Company come ad una recente fondazione, a un nuovo movimento carismatico, con tanto di fondatore, prima o poi da mettere sugli altari, si sbaglierebbe.
Di attuale c’è soltanto poca cosa: il nome, discutibilissimo. Ma i santi, alcuni di vecchia data, altri freschi di nomina, compreso uno stuolo di martiri, già esistono e tutti »canonizzati ». Perciò si cammina sul sicuro.
Non c’è merito. Solo la grazia della presa di coscienza di una realtà che esiste almeno da cinque secoli, ma che origina molto, molto prima. A guardar bene, è l’altare dell’Ultima Cena che va dilatandosi a dismisura, fino a raggiungere gli estremi confini della terra.
C’è voluto poco: è bastato spolverare la cassaforte, lucidare le maniglie, oliare la serratura, riaprirla…e i gioielli son tornati a risplendere, a parlare al cuore.
La rivitalizzazione è solo opera dello Spirito che ha ossigenato e rigenera gl’occhi degli osservatori per coinvolgerli nella divina avventura:
“Et dixit qui sedebat in throno: ecce nova facio omnia” (Ap 21,5).
Riccardo è un educatore:
« …ci educa al gusto della Parola »
GLOBULI ROSSI VUOL DIRE CADERE DA CAVALLO
GR,pur frammento, è Popolo di Dio e perciò stesso Corpo di Cristo.
Ognuno, religioso o laico, dovrebbe essere animato da quell’amore capace di sacrificare se stesso, che Cristo ha mostrato sulla Croce:
« Cristo non ha cercato ciò che piaceva a lui » (Rom.15,3 – Sal. 69,10).
Ognuno ha la sua « via di Damasco ». Ognuno è chiamato a sperimentare la caduta dal cavallo delle umane sicurezze.
- Alla voce che scende dal Cielo, la domanda che viene spontanea è sempre la stessa: « Chi sei, o Signore? ».
- Ed ognuno conserva nel cuore la risposta: « Io sono Gesù…Perché mi persegiti? Su, alzati e rimettiti in piedi ».(Atti: 26, 14-18).
- Dolcissimo, affettuoso, meritato rimprovero !
Come lo zelante Saulo di Tarso, ognuno possiede le perversioni farisaiche tipiche di colui che si propone come salvezza di se stesso, credendo di essere giunto all’apice della perfezione.
A riguardo delle perversioni più profonde, la situazione di Paolo, persecutore zelante, è istruttiva.
Il Card. Martini, rifacendosi al Vangelo che dice: « I peccatori vi precedono nel Regno di Dio« , ne ricava questo insegnamento:
« Vuol dire che chi commette dei peccati, ad esempio, si ubriaca o si lascia vincere dalla sensualità, commette peccato, certo, ma è sempre, in qualche modo, conscio di fare il male: ha bisogno di comprensione, di aiuto e dimisericordia per superare la propria debolezza e confessa di essere fragile e debole.
Ed è questo il peccato che Gesù attacca nei farisei: quella perversione fondamentale per cui l’uomo si fa salvezza di se stesso e, credendo di essere giunto all’apice della perfezzione, giunge alle più gravi aberrazioni della violenza« .
Di questo male oscuro patiamo un po’ tutti: sia i consacrati che i laici cristiani.
GR, nell’anno Paolino, assume il significato di una richiesta all’apostolo per sapere dove il Signore lo ha portato dopo la caduta da cavallo.
La risposta di Paolo è nella Lettera ai Filippesi e in quella ai ai Galati, dove egli ci fa comprendere il significato di questa direzione.
Noi, un po’ alla volta, in questa analisi dei,testi ci faremo guidare dalle sapienti considerazioni dell’Arcivescovo Martini…
Vedi anche SAN PAOLO CADUTO TRE VOLTE – Gianfranco Ravasi


UNA FEDE ADULTA E PENSATA
GR è un melograno fatto di tanti chicchi che aspirano a maturazione per diventare rossi e succulenti. Un frutto generato da un albero genealogico ben piantato e solido: Giovanni di Dio, un avventuriero illuminato.
GR è un invito a riflettere, un modo di pensare, un risveglio, una rinascita, una iniziativa, rimedio alla tentazione di stanchezza e scoraggiamento che si registrano su diversi fronti. E’ una proposta terapeutica per le anemie spirituali, un’offerta di riconciliazione con se stessi, con la propria sorte, con la propria vita, con la propria salute, con i propri difetti, con il proprio ambiente, con la propria famiglia, con la società, con il proprio lavoro, con la Chiesa .
Una compagnia di persone che, da anemiche che erano, una volta graziate ed amate, si fanno, a loro volta, per così dire, « donatori di sangue« , portatori di ossigeno nei tessuti asfittici del proprio contesto . Ciò è reso possibile dal sentirsi a proprio agio come figli del Padre, fratelli con i fratelli e sorelle nella società civile ed ecclesiale.
Ma con una caratteristica anche espressiva: di persone « gioioisamente » graziate ed amate che lo esprimono anche nel saluto: Shalom! . E con il cantico sulle labbra: Magnificat!

GR può perfino diventare un ministero della carità misericordiosa, vicendevolmente esercitato. Un percorso di paziente ricostruzione di personalità che, da fragili e inconsistenti, diventano armoniche, capaci di relazioni giuste, con Dio e con il prossimo, col Mistero assoluto, con la propria povertà, con l’ambiente, per meschino che sia, col mondo per torvo e torbido che appaia.
GR è un modo molto semplice, un clima per recepire l’appartenenza alla Nuova Alleanza che è nuova creazione, nuovo inizio, a partire dalla risurrezione del Crocifisso che indica l’amore di Dio che si dona sino alla fine, che perdona « settanta volte sette », 490 volte.
Dove si posa l’alito dello Spirito, l’amore della Trinità divinai, ogni cosa si rianima, torna come nuova. Più semplice di così !
E allora, musica:

Concerto brandeburghese n.2


Clicca sull’immagine per ingrndire
L’ERA NUOVA E IL GIORNO DEL SIGNORE .
Nella terza fase della mia età, mi trovo provvidenzialmente ad incarnare in qualche modo le due anime dei Fatebenefratelli: la religiosa e quella laica. Il connubio è frutto di vicende storiche che mi hanno portato ad alterne esperienze di vita.
Te le senti addosso come la pelle e non te le potresti togliere se non scorticandoti. Una mutilazione dolorosa e inutile.
Come in ogni convivenza, anche nella mia non mancano le contraddizioni, i lati oscuri, le penombre, le paure, magari incorniciate in una paludata sicurezza, solo apparente, che cela diverse fragilità e nasconde numerosi limiti.
Epperò, chi si trova in questa posizione che non frutta benefici materiali ed esenta dalla preoccupazione di dover tutelare o difendere interessi personali o economico-istituzionali, non avendo un’immagine da salvaguardare, nulla da dimostrare, possiede una grande ricchezza: la libertà interiore.
Se c’è una forza, una grazia, è proprio contenuta in questa pronunciata debolezza: essere uomini che non contano. Il vantaggio è immediato: ci si sente liberi e leggeri (che non vuol dire irresponsabili e distanti) e si avverte di poter osare il linguaggio della fede senza esitazioni, laddove il « politicamente corretto, » consiglierebbe di usare un idioma alla pari: quello umano del dare e dell’avere, dei calcoli e delle scaltrezze. Nulla di male, s’intende, ma limitante.
In un clima di pesanti condizionamenti, saturo di riserve mentali di ogni genere, su ogni tema, il modo di comportarsi è soggetto a incombenti tentazioni:
-
mandare a farsi benedire il « Regno di Dio« , espressione che non viene colta nel suo significato, quasi fosse una cosa che ha da venire. Lo dice espressamente l’evangelista Luca: « Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il Regno di Dio è in mezzo a voi » (Lc 17,20-25).
-
Gesù non viene solo ad annunciare il Regno ma è lui stesso la venuta del Regno. In Lui il Regno viene partecipato come dono. Non a caso, a non accorgersene sono proprio i Farisei. Sono loro a domandare a Gesù, che rende presente il Regno, quando il Regno verrà.
-
Farisei di oggi siamo noi nella misura in cui non reagiamo agli stimoli della Grazia, ossia dello Spirito, promesso compagno di viaggio alla Chiesa, fino alla fine dei tempi. Il primo gesto cui siamo chiamati è di aprire gl’occhi su questa presenza non appariscente, ma reale e determinante.
- Il rischio incombente è sempre lo stesso: lasciarci sorprendere e sospingere verso « altro » che non sia il Regno di Dio. E poi, riformulare l’astuta e scaltra domanda: quando verrà?
Qualche giorno fa mi sono sentito al telefono con l’amico carissimo Don Enrico Ghezzi, oggi Rettore di Santa Maria dell’Orto di Roma, dopo aver lasciato da poco la Parrocchia.
Gli sono riconoscente debitore, giacché in gioventù, lui studente alla Gregoriana, io aspirante… mi ha fatto tanto amare la Chiesa con le lettere che mi scriveva ed i libri che mi spediva.
Ad un certo punto della conversazione è emersa una constatazione: noi apparteniamo, senza merito, a quella generazione che ha vissuto lo svolgersi del Vaticano II. Una grazia enorme.
Ma anche una generazione sfortunata, se vogliamo, perché di “sognatori e visionari”, molto simile a quella di cui parla il profeta Gioele al cap. 3. E’ per via di un contesto che voleva e vorrebbe altro. E’ il ripetersi della domanda farisaica: quando verrà il Regno di Dio?
Fortunatamente basta rileggere il passo della promessa per sentirsi rinfrancati sulle gambe e riprendere vigore:

Dopo questo,
io effonderò il mio spirito
sopra ogni uomo
e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;
i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni.
Anche sopra gli schiavi e sulle schiave,
in quei giorni, effonderò il mio spirito.
Farò prodigi nel cielo e sulla terra,
sangue e fuoco e colonne di fumo.
Il sole si cambierà in tenebre
e la luna in sangue,
prima che venga il giorno del Signore,
grande e terribile.
Chiunque invocherà il nome del Signore
sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme
vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore,
anche per i superstiti che il Signore avrà chiamati.

Deludersi per i tempi? Mai. Dio va cercato là dove ci si trova, ha detto recentemente il Card. Martini, fiaccato nel fisico ma sorretto sempre da una gioiosa speranza. Quelli come me che hanno una piccola debole fede, hanno sempre la possibilità di unirsi a quella grande, assoluta, di Maria. Volendo, anche noi come lei, siamo in grado di vederegià ora il non ancora.
Che fortuna! Ci sono stati riservati proprio gli anni migliori della Storia.
Dall’incarnazione del Verbo, quelli che viviamo, sono i migliori perché è un espandersi del Regno di Dio che ci coinvolge come protagonisti nell’Evento che in Cristo, Alfa e Omega, ricapitola l’universo intero.
Non so ancora bene perché ho messo in piedi questo nuovo cantiere. Forse mi premeva di evidenziare una cosa che ho in animo, ossia che i movimenti, le associazioni, gli ordini e le congregazioni… mi vanno benissimo. A patto che non si perda mai di vista la consapevolezza di appartenere al POPOLO DI DIO e che non si straveda – come talvolta accade – più per i fondatori che per il Sommo Sacerdote
.
CRISTO GESU’


Udite, udite !
« Io, Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, saluto i fratelli della città di Efeso che credono in Cristo Gesù: Dio nostro Padre e Gesù Cristo nostro Signore, vi diano grazia e pace.
Dio ci ha amati per mezzo di Cristo
Benedetto sia Dio
Padre di Gesù Cristo nostro Signore.
Egli ci ha uniti a Cristo nel cielo,
ci ha dato tutte le benedizioni dello Spirito.
Prima della creazione del mondo
Dio ci ha scelti
per mezzo di Cristo,
per renderci santi e senza difetti
di fronte a lui.
Nel suo amore
Dio aveva deciso
di farci diventare suoi figli
per mezzo di Cristo Gesù.
Così ha voluto
nella sua bontà.
A Dio dunque sia lode,
per il dono meraviglioso
che egli ci ha fatto
per mezzo di Gesù
suo amatissimo Figlio
Cristo è morto per noi
e noi siamo liberati;
i nostri peccati sono perdonati.
Questa è la ricchezza della grazia di Dio,
che egli ci ha dato
con abbondanza.
Ci ha dato la piena sapienza
e la piena intelligenza:
ci ha fatto conoscere
il segreto progetto della sua volontà:
quello che fin da principio
generosamente
aveva deciso di realizzare
per mezzo di Cristo.
Così Dio conduce la storia
al suo compimento:
riunisce tutte le cose,
quelle del cielo e quelle della terra
sotto un unico capo,
Cristo.
E anche noi,
perché a Cristo siamo uniti,
abbiamo avuto la nostra parte;
nel suo progetto
Dio ha scelto anche noi
fin dal principio.
E Dio realizza
tutto ciò che ha stabilito.
Così ha voluto
che fossimo una lode della sua grandezza,
noi che prima degli altri
abbiamo sperato in Cristo.
E anche voi
siete uniti a Cristo,
perché avete ascoltato
l’annunzio della verità,
il messaggio del Vangelo
che vi portò la salvezza,
e avete creduto in Cristo.
Allora Dio vi ha segnati
con il suo sigillo:
lo Spirito Santo che aveva promesso.
Lo Spirito Santo
è caparra della nostra futura eredità:
di quella piena liberazione
che Dio darà a tutti quelli che ha fatto suoi,
perché possano lodare
la sua grandezza.
(LETTERA AGLI EFESINI, 1ss)
Formidabile l’ammonimento dell’Apostolo Pietro: « Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori ».
E bella quella messa in luce di un’altra profonde esigenza di vita che tocca tutti:
« Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi » (1 Pietro 3, 15).
Essa viene dall’ascolto della Parola e dalla fede accolta anche
-
nella sua bellezza e forza intellettuale,
-
nella sua intima « ragionevolezza »,
-
nella singolare sintonia che essa sa realizzare con i valori e le richieste della mente umana,
-
e dunque come risposta piena, anzi eccedente a tutte le istanze autentiche della ragione
Questi sono gli intenti che si prefigge il cantiere.
Buona navigazione e partecipazione, dallo scafista
Angulo
CHE COSA CI FA QUI
in una galassia
IL POPOLO DI DIO ?

Non siamo sperduti in una delle tante galassie ma conosciuti e chiamati per nome. Oggi, davanti alle conoscenze scientifiche, lo stupore è come non mai!
L’UNIVERSO ? E’ ARMONICO
Spia di un intrinseco « finalismo », l’evoluzione del cosmo passa dalla materia fino allo spirito: una riflessione del Cardinale Martini. «Gli astronomi e i fisici parlano da tempo di « multiverso », ed è un concetto che interroga la fede».
Un itinerario che parte da San Paolo e attraverso Pascal arriva a Teilhard de Chardin.
CARD. CARLO MARIA MARTINI
(« Avvenire », 15/12/’07)
Che cosa può significare l’ »universalismo » nel rapporto fra religioni e culture? Per rispondere a questa domanda, personalmente mi sarei piuttosto ispirato prima alla scienza, poi alle Scritture. Sarei partito cioè dalla definizione fisica di universo, così come viene data dagli astronomi e dai fisici.
Essi parlano anzi oggi di «multiverso» intendendo così che non riusciamo a cogliere i limiti delle realtà nelle quali siamo immersi e che forse esistono altre realtà analoghe con le quali, almeno per il momento, non comunichiamo. Ciò ha a che fare anche con il desiderio che sentiamo di totalità e insieme con l’impossibilità pratica di raggiungerla.

Anche se rimane vera la frase di Pascal: «Tous les corps, les firmaments, les étoiles, la terre et ses royaumes, ne valent pas le moindre des esprits: car il connait tout cela, et soi», rimane parimenti vero che tutto in questo universo nostro è costruito a partire dalla materia, che è quindi la prima «universalità», pur se debole, che noi tocchiamo senza riuscire a misurarla a fondo.
Questo universo è in continua evoluzione, almeno l’universo che noi conosciamo. Un’evoluzione che passa per tutti i gradi dell’essere e arriva dalla materia fino al pensiero e all’amore. E qui citerei ancora le parole di Pascal, che con grande coraggio supera l’incantesimo prodotto dalla quantità illimitata di materia per giungere a dire che un atto di bontà, un sorriso, un atto d’amore, valgono immensamente più di tutte le misure possibili e immaginabili: «De tous les corps et esprits, on n’en saurait tirer un mouvement de vraie charité: cela est impossibile, et d’un autre ordre».

Il punto finale a cui tende questa evoluzione potrebbe essere espresso con le parole misteriose di San Paolo: «Quando tutto gli (al Figlio) sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (l Cor 15, 28).
È in questo «tutto in tutti» che vedo concretamente indicato l’universo, che rappresenta perciò chiaramente non un dato già costruito ma un punto di arrivo.
Ciò è espresso anche nella « Lettera agli Efesini », quando essa nomina «la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (1, 23), «che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire ogni cosa» (4, l0). C’è dunque una universalità che è il termine di tutto il cammino umano. Non si tratta però di una universalità debole, per « entropia », cioè di qualcosa di amorfo e di gelatinoso; ma di una universalità forte, nella quale le singole individualità personali sono riunite in unica e perfetta armonia.

E qui non potrei non ricordare le pagine mirabili scritte da Teilhard de Chardin a questo proposito.
Per esempio, là dove parla di quella tensione gradualmente accumulatasi tra l’umanità e Dio che toccherà un giorno i limiti prescritti dalle possibilità di questo mondo. E allora sarà la fine. Nell’azione finalmente liberata delle vere affinità degli esseri, gli « atomi spirituali » del mondo saranno portati al loro pieno sviluppo e collegati da una forza generatrice, dal potere di coesione proprio dell’universo e occuperanno il posto designato per loro nella struttura vivente del « Pleroma » (« Le milieu divin »).
Si potrebbero citare molte altre pagine dello stesso autore, in particolare dell’ »Inno dell’universo », dove egli esalta questa pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità, ma affermazione piena della individualità di ciascuno in una perfetta armonia.
Guardando le cose da questo punto di vista, si vede allora come non sono da promuovere le singole individualità semplicemente in quanto opposte le une alle altre, ma in quanto esiste in loro una forza di convergenza che permette di superare il loro stato presente di chiusura e aprirsi sempre più a quella pienezza cui sono chiamate.
In questo senso occorrerebbe considerare le diversità culturali e anche le opposizioni delle diverse religioni. Non si tratta di esasperarle e neppure di banalizzarle o « omologarle » o ridurle a un minimo denominatore, ma di far emergere quegli elementi a partire dai quali esse possono raggiungere una sempre maggiore convergenza, anche attraverso le necessarie purificazioni.
SALMO 139
Signore, tu mi scruti e mi conosci;
2mi siedo o mi alzo e tu lo sai.
Da lontano conosci i miei progetti:
3ti accorgi se cammino o se mi fermo,
ti è noto ogni mio passo.
4Non ho ancora aperto bocca
e già sai quel che voglio dire.
5Mi sei alle spalle, mi stai di fronte;
metti la mano su di me!
6È stupenda per me la tua conoscenza;
è al di là di ogni mia comprensione.
7Come andare lontano da te,
come sfuggire al tuo sguardo?
8Salgo in cielo, e tu sei là;
scendo nel mondo dei morti, e là ti trovo.
9Prendo il volo verso l’aurora
o mi poso all’altro estremo del mare:
10anche là mi guida la tua mano,
là mi afferra la tua destra.
11Dico alle tenebre: « Fatemi sparire »,
e alla luce intorno a me: « Diventa notte! »;
12ma nemmeno le tenebre per te sono oscure
e la notte è chiara come il giorno:
tenebre e luce per te sono uguali.13Tu mi hai plasmato il cuore,
mi hai tessuto nel seno di mia madre.
14Ti lodo, Signore: mi hai fatto
come un prodigio.
Lo riconosco: prodigiose sono le tue opere.
15Il mio corpo per te non aveva segreti
quando tu mi formavi di nascosto
e mi ricamavi nel seno della terra.
16Non ero ancora nato e già mi vedevi.
Nel tuo libro erano scritti i miei giorni,
fissati ancor prima di esistere.
17Come sono profondi per me i tuoi pensieri!
Quanto è grande il loro numero, o Dio!
18Li conto: sono più della sabbia!
Al mio risveglio mi trovo ancora con te.
19O Dio, sopprimi i malvagi!
Allontana da me i violenti!
20Parlano di te per ingannare:
abusano del tuo nome: sono tuoi nemici.
21Signore, odio quelli che ti odiano,
disprezzo chi si ribella a te.
22Li odio di un odio implacabile:
anche per me sono nemici.
23Scrutami e conosci il mio cuore, o Dio.
Mettimi alla prova e scopri i miei pensieri.
24Vedi se seguo la via del male
e guidami sulla tua via di sempre.

FORUM | BLOG
LE COMUNITA’ SI INTERROGANO: Roma
Non è tutto nero come sembra
.
Il parere di parroci e laici impegnati a Roma ad animare la pastorale nelle parrocchie.
di Vittoria Prisciandaro
Una stanza sobria, quasi spoglia. Alle pareti, un’ icona, il crocifisso, il disegno di un bambino. Sulla scrivania tanti libri. Paolo VI, Il Concilio, La Bibbia di Gerusalemme.
Don Enrico Ghezzi è un milanese trapiantato a Roma da quasi quarant’ anni, da dieci è parroco a San Vigilio, all’ Eur. «Minoranza? Lo dimostra la frequenza ai sacramenti, in netto calo rispetto al passato. E molti lo fanno per tradizione: una volta ricevuto il sacramento, finisce la formazione religiosa».
Don Enrico non ha dubbi: «Il Papa dice che bisogna ritornare al Concilio e che la Chiesa deve dialogare. Ma se la Chiesa dice no ai divorziati, no agli omosessuali, no al la genetica, no a tutto… con chi dialoga?
D’ altra parte, c’ è un ritorno massiccio ai santuari e alle immagini devozionali, all’ elemento religioso come a una fonte di sicurezza psicologica».
«È rimasto punto di riferimento per i momenti più importanti della vita. E la parrocchia resta l’ immagine della Chiesa universale, a meno che non abbia perso la sua identità facendo monopolizzare tutto dai movimenti».
«Oggi per fare il prete occorrono grande amore a Gesù Cristo, passione per il popolo di Dio, e spirito di sacrificio. Non so se i seminari educhino a queste cose. D’ altra parte, a furia di pensare a un laicato silenzioso, i laici sono scomparsi».
«È vero, testimoni-faro oggi non se ne vedono più tanti in giro - commenta Paola Moreschini, viterbese, avvocato, mamma di Davide e Lorenzo, sposata con Beniamino Lecce, ‘semplice cristiana’ impegnata con l’ associazionismo dei consumatori - .
Eppure, non condivido il pessimismo che c’ è in giro: c’ è una larga fetta di cristiani, che probabilmente non frequenta la comunità ecclesiale, ma ha un atteggiamento interiore docile, di servizio e di attenzione agli altri, forse a differenza di altri che frequentano la chiesa e hanno il cuore duro come un sasso».
Paola non si sente minoranza e mette in guardia: «Questa tendenza di contarsi a me non piace molto, anche perché, qual è il criterio per farlo? La fede forse è l’ unico ambito in cui i sondaggi non sono affidabili».
Nessuna amarezza, dunque, ma anzi sorpresa. «Rispetto a una società, e a volte purtroppo a una Chiesa, basate sull’ immagine e sui consumi, resto sempre sorpresa la domenica quando a messa vedo tante persone disposte a ‘perdere’ un’ ora per portare avanti un discorso di fede», conclude la signora Lecce.
Un invito al discernimento viene da don Giambattista Angelo Pansa. Bergamasco, da trentatré anni a Roma, da sette guida la parrocchia della Trasfigurazione, nel quartiere Monteverde. «La cristianità diffusa? Mi piacerebbe sapere quando c’ è stata! Mi sembra che si stia equivocando, perché si contrappone ai fasti di un passato inesistente un presente che invece sarebbe disastroso».
Don Giambattista ricorda che quando era viceparroco di borgata, ventisei anni fa, la frequenza alla messa domenicale era più bassa rispetto a oggi. «Una scissione tra fede e vita è in atto ormai da molti anni nel nostro paese, anche se la grande maggioranza si professa ancora cattolica.
La novità sta nel fatto che soprattutto la globalizzazione della comunicazione ha portato alla relativizzazione dell’ appartenenza religiosa. Ma questo - dice il parroco - non significa che sia cambiato il ruolo della parrocchia. Resta la fontana del villaggio, il luogo di incontro con Dio e di formazione delle coscienze.
Tutti dicono che bisogna rifondare le parrocchie, eppure sono l’ unica cosa che ancora regge. Tanto pessimismo sull’ oggi è sfiducia nello Spirito santo, è come dire che la Chiesa del passato ha sbagliato in tutto! Non è possibile senza un discernimento serio liquidare la cultura contemporanea come antireligiosa: questo rischia di essere un alibi per gli operatori pastorali, per non impegnarsi e scavarsi delle facili trincee».
Niente minoranza, allora? «È un’ analisi equivoca, perché rischia di accompagnarsi all’ idea della forte identità da difendere, anche in modo aggressivo, in lotta con il mondo. Così si cade in un vittimismo di maniera, che parla di un ritorno catacombale».
Dalla collina del Gianicolo al centro di Roma. In viale Mazzini c’ è la chiesa di Cristo Re, retta dai dehoniani. Padre Angelo Arrighini la guida da dieci anni. «Ufficialmente non credo si possa parlare di minoranza, ma di fatto sì: a parte il calo delle vocazioni, basta considerare che su tre battesimi, due sono figli di coppie conviventi, e alle prime comunioni, in quasi la metà dei casi si tratta di ragazzi di separati o di divorziati. Purtroppo, i genitori non sono più in grado di trasmettere un certo humus cristiano. Insomma, non viviamo in una situazione di ostilità, ma di indifferenza».
«Il paradosso - dice padre Arrighini - è che si percepisce la necessità di una missione all’ interno delle nostre comunità, ma non c’ è mai stata, come oggi, una fioritura di corsi biblici, di documenti del magistero, di sussidi audiovisivi, di istituti di scienze religiose& Forse una delle cause è il mancato aggiornamento, la mancata percezione del problema della comunicazione che c’ è tra sacerdoti e mondo. Continuiamo a usare un linguaggio che non trasmette più nulla».
«Uno dei punti di forza della parrocchia - commenta padre Angelo - è la partecipazione dei laici e il lavoro del Consiglio pastorale», e tra i laici «impegnati» a Cristo Re c’ è Giovanni Bachelet. Classe ’ 55, sposato con Silvia Fasciolo (Agesci), quattro figli, docente di fisica e chimica alla Sapienza, Giovanni ricorda la lezione del papà, Vittorio, ucciso in un attentato terroristico il 12 febbraio del 1980.
«Ho ereditato da mio padre il sano dubbio che i santi, quelli per i quali l’ incontro con Gesù è un fatto decisivo che orienta e qualifica ogni scelta della vita (e non automatica o superficiale appartenenza etnica, territoriale, sociale), cioè i veri cristiani, siano sempre stati una minoranza.
I cristiani erano pochi ai tempi delle catacombe, ma non erano numerosi, a dar retta a Dante, neanche ai tempi della societas christiana; non abbondavano né nei giorni dell’ onnipotenza democristiana, né in quelli della contestazione; sono pochi anche ora, fra scisma sommerso e opulenta indifferenza.
Pochi, ma buoni. Sufficienti a infondere speranza e carità alla propria generazione e a trasmettere la fede in Cristo a quella successiva». .
I SEGNI DEI TEMPI
«Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è questo un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. In prossimità del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio».
(Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n.86)
|
IL NOSTRO PUNTO DI VISTA
APPARTENERE O ESSERE?
Jean Delumeau è un raffinato storico francese, interessato particolarmente alla storia del cristianesimo. Alcuni anni fa pubblicò un saggio, tradotto anche in italiano, in cui si chiedeva se il cristianesimo fosse destinato all’ estinzione. Forse no. A meno che il numero dei cristiani non giunga sotto una soglia minimale.
Certamente il cristianesimo - affermava Delumeau - non avrebbe più giocato il ruolo che storicamente aveva avuto nel mondo occidentale.
Sullo stesso tema è ritornato di recente un altro storico francese, René Rémond. Anche lui rilevava la scarsa incidenza, e anche un’ aperta ostilità, che il cristianesimo (e il cattolicesimo in particolare) ha nella vita dei singoli e nelle società.
Anche scrittori, saggisti e uomini di Chiesa di casa nostra hanno più volte trattato l’ argomento. Questo per dire quanto il tema affrontato in questo dossier sia attuale, pressante e vasto: di una vastità tale che richiederebbe altrettanto ampia trattazione, articolata secondo le varie prospettive che esso coinvolge.
La parola «cattolico» etimologicamente significa universale, una sua definizione ha bisogno quanto meno di un’ ampia prospettiva di visuale e di interpretazione. Forse noi leggiamo il fenomeno con occhiali tipici della cultura occidentale. Non si può negare comunque, al di là anche delle grandi cifre che il Giubileo ha messo in mostra, al di là della sterminata folla di giovani accorsi a Roma da tutto il mondo per celebrare e vivere la Giornata ad essi dedicata, che il cristianesimo è diventato ormai una realtà di minoranza, dal punto di vista della significatività sociale e culturale.
Resta aperta comunque la domanda su che cosa significhi essere cristiano. Se un fatto personale o un fatto sociale, di costume. Se quello che conta è appartenere alla cristianità o essere cristiani.
L’ una o l’ altra risposta aprono il campo a valutazioni assai diverse. E l’ impressione che si ricava leggendo le testimonianze raccolte nel dossier, è che nei cristiani di oggi, ridotti nel numero, sia prevalente la preoccupazione di essere cristiani, di vivere il cristianesimo come il Vangelo richiede.
Non per crogiolarsi nell’ autocompiacimento di essere «pochi ma buoni», ma per diventare lievito che fermenta una nuova evangelizzazione che avvicini tutti a Gesù, per grazia di Dio ma anche per l’ esemplarità di vita dei cristiani.
Il discorso potrebbe portare molto indietro nel tempo, fino alla grande svolta costantiniana, quando tutto, in un breve arco di tempo, in una Roma pagana e persecutrice dei cristiani, cominciò a fare riferimento a una cultura cristiana.
Ma nel Vangelo Gesù fa riferimento, e con espressioni forti, a piccole comunità, invitate a essere sale e lievito. Piccole porzioni della grande comunità degli uomini, capaci di dare sapore o far lievitare la massa, per creare realtà più consistenti. Un eccesso di sale non dà più sapore ma rende salato e quindi immangiabile il cibo; il lievito non può superare la quantità della pasta, non sarebbe più capace di farla fermentare.
Il fatto di un cristianesimo ridotto, almeno nei numeri, a minoranza non può essere letto come reazione a un cristianesimo troppo salato o eccessivamente lievitato?
A un cristianesimo diventato forte, potente, cioè pasta?
Assume un sapore nuovo e un significato diverso riascoltare allora alcuni stimoli del Vangelo che ci invitano a ritornare a essere sale, a brillare come luce posta sul moggio, a non temere di essere un piccolo gregge, anche questo momento in cui il cristiano è chiamato a riesprimere la propria testimonianza in un contesto secolarizzato e dimentico delle proprie radici.
Un percorso di credibilità umana ed esistenziale, capace di farsi illuminare e accompagnare dalla Parola.
di Luciano Bertazzo
Da IL MESSAGGERO