ANGULO dei Globuli Rossi – UNA CASA DI "SOGNATORI E VISIONARI" DEL POPOLO DI DIO – Aggiungi un posto a tavola…

01 – TI SCRIVO QUESTE COSE… Angelo Nocent

Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 27 janvier, 2009 @ 10:57

Cristo pantocrator

 

angelonocent.pngCarissimo Fra Luigi,

non ci troveremmo qui a conversare, con lo sguardo rivolto verso il Cristo Pantocrator, splendore della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, se non avessimo la consapevolezza di appartenere ad una realtà che si chiama « vita ecclesiale« .

Ma il vivere nella Chiesa presuppone la consapevolezza, mai sufficientemente raggiunta appieno, del significato che hanno queste parole, ben diverso dal vivere in un qualsiasi altro contesto socio-culturale.

La chiave di lettura la trovo nella prima lettera che l’apostolo  Paolo scrive a Timoteo che, nelle parole di saluto definisce « mio vero figlio nella fede »  e che ti consiglio di rileggere per intero, giacché ritrae incredibilmente le nostre realtà:

« Ti scivo queste cose…perché sappia come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivo, colonna e fondamento della verità« . (1Tim 3,15)

Le sottolineature colorate non sono a caso, come vedremo in seguito.

Tu ed io viviamo realtà diverse, ma solo apparentemente: tu, con ciò che comporta una vita consacrata, io, da coniugato, padre di due figli, nonno…ecc.

Sono due trame che si sviluppano o inaridiscono nel medesimo « terreno di coltura », la Chiesa, come cellule marcate da un progetto che per noi è divino ma che siamo anche in grado di manipolare nel laboratorio delle nostre furbesche incongruenze, nascondendoci dietro la parola libertà, epperò intesa come  sinonimo di convegnenza.

Paolo parla di « CASA DI DIO« . Dunque, da qui si deve partire. Perciò, appena possibile, ti parteciperò le mie riflessoni…

Che se questa condivisione d’intenti e di ideali ti parrà utile, vedi di parteciparla  ai tuoi fratelli, religiosi e laici, giacché il comunicare nella fede  è aspetto essenziale dell’essere Chiesa, noi, oggi. 

Angulo

N.B. Ho pensato di riprodurre per esteso  la lettera di Paolo che fa impallidire le nostre chiacchere.

PRIMA LETTERA A TIMÒTEO

 
1        Saluto

1Io, Paolo apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio nostro Salvatore e di Gesù Cristo nostra speranza 2saluto Timòteo, mio vero figlio nella fede. Dio nostro Padre e Gesù Cristo nostro Signore ti diano grazia, misericordia e pace.

      Avvertimento contro le false dottrine
3Quando partii per andare in Macedonia ti raccomandai di rimanere a Efeso, perché vi sono alcuni che insegnano false dottrine e tu devi ordinare che smettano. 4Di’ loro di non interessarsi più a quelle favole, a quei lunghi elenchi di antenati: sono cose che provocano solo discussioni e non riguardano quella salvezza che Dio ci fa conoscere mediante la fede.
5Questa mia raccomandazione ha uno scopo: vuole far sorgere quell’amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6Alcuni si sono allontanati da questa strada e si sono persi in discussioni senza senso. 7Pretendono di essere maestri nella legge di Dio, ma in realtà non capiscono né quel che dicono né quel che sentenziano con tanta sicurezza.
8Certo, noi sappiamo che la Legge è una buona cosa, se è usata come si deve. 9Ricordiamo che una legge non è fatta per quelli che agiscono bene, ma per quelli che agiscono male; per i ribelli e i delinquenti, per i malvagi e i peccatori, per quelli che non rispettano Dio e quel che è santo, per gli assassini e per quelli che uccidono il padre o la madre; 10per gli immorali, per i depravati, per i mercanti di schiavi, per i bugiardi e gli spergiuri: insomma per tutti quelli che vanno contro la sana dottrina. 11Questa dottrina è contenuta nel messaggio del Signore che è stato affidato a me; esso viene da Dio, glorioso e benedetto.

      Ringraziamento per la bontà di Dio
12Ringrazio Gesù Cristo nostro Signore: egli mi ha stimato degno di fiducia e mi ha dato un incarico e mi dà la forza di compierlo. 13Eppure prima io avevo parlato male di lui, l’avevo offeso e l’avevo perseguitato. Ma Dio ha avuto misericordia di me, perché allora ero andato lontano dalla fede e non sapevo quel che facevo. 14Così la bontà del Signore è stata abbondante su di me: mi ha dato la fede e l’amore che vengono dall’unione con Gesù Cristo.
15Questa è una parola sicura, degna di essere accolta da tutti: « Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori ». Io sono il primo dei peccatori. 16Ma proprio per questo Dio ha avuto misericordia di me: perché Gesù Cristo mostrasse in me, per primo, tutta la sua sapienza, per dare un esempio a tutti quelli che in futuro crederanno in lui e riceveranno la vita che viene da Dio.
17A Dio, unico e invisibile, al re eterno e immortale, a lui onore e gloria per sempre! Amen.

      Le responsabilità di Timòteo
18Timòteo, figlio mio, ti lascio queste raccomandazioni ricordando ciò che i profeti della comunità hanno detto di te. Quelle parole siano la tua forza nella buona battaglia che devi combattere. 19Conserva la fede e una buona coscienza. Alcuni non hanno ascoltato la loro coscienza e hanno rovinato la loro fede. 20Tra questi ci sono Imenèo e Alessandro: io li ho consegnati al potere di Satana, così impareranno a non parlare più contro Dio.

2        Istruzioni sulla preghiera

1Innanzitutto ti raccomando che si facciano preghiere a Dio per tutti gli uomini: domande, suppliche e ringraziamenti. 2Bisogna pregare per i re e per tutti quelli che hanno autorità, affinché si possa vivere una vita tranquilla, in pace; una vita dignitosa e dedicata a Dio. 3Tutto ciò è buono e piace a Dio nostro Salvatore. 4Egli vuole che tutti gli uomini arrivino alla salvezza e alla conoscenza della verità.
5Perché uno solo è Dio, e uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini: l’uomo Gesù Cristo. 6Egli ha dato la sua vita come prezzo del riscatto di tutti noi. A questo modo, nel tempo stabilito, egli ha dato la prova che Dio vuol salvare tutti gli uomini. 7Per questo io sono stato fatto messaggero e apostolo, con l’incarico di insegnare ai pagani la fede e la verità. Sono sincero, non dico menzogne.
8Dunque, voglio che in ogni luogo gli uomini facciano preghiere, alzino verso il cielo mani pure, senza collera o rancore. 9E così preghino anche le donne: con abiti decenti, con modestia e semplicità. I loro ornamenti non siano complicate pettinature, gioielli d’oro, perle e vestiti lussuosi. 10Invece, siano ornate di opere buone, adatte a donne che dicono di amare Dio. 11Durante le riunioni le donne restino il silenzio, senza pretese. 12Non permetto alle donne di insegnare né di comandare agli uomini. Devono starsene tranquille. 13Perché Adamo è stato creato per primo e poi Eva. 14Inoltre, non fu Adamo che si lasciò ingannare: fu la donna a lasciarsi ingannare e a disubbidire agli ordini di Dio. 15Tuttavia anche la donna si salverà, nella sua vita di madre, se conserva la fede e l’amore e la santità, nella modestia.

3        I pastori della comunità

1Ecco una parola sicura: se qualcuno desidera avere un compito di pastore nella comunità, desidera una cosa seria. 2Un pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie, capace di controllarsi, prudente, dignitoso, pronto ad accogliere gli ospiti, capace d’insegnare 3Non può essere un ubriacone, un violento o uno che litiga facilmente: sia invece gentile e non si mostri attaccato ai soldi.
4Sappia governare bene la sua famiglia, i suoi figli siano ubbidienti e rispettosi. 5Perché, se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?
6Egli non deve essere convertito da poco tempo, altrimenti potrebbe andare in superbia e finire condannato come il diavolo. 7Infine, bisogna che egli sia stimato anche da quelli che non sono cristiani, perché nessuno parli male di lui ed egli non cada in qualche trappola del diavolo.

      I diaconi
8Anche i diaconi devono essere uomini seri e sinceri: non ubriaconi, e non avidi di guadagni. 9Essi devono conservare la verità della fede con una coscienza pura. 10Perciò prima siano messi alla prova e poi, se non si troverà niente da dire contro di loro, potranno lavorare come diaconi. 11Anche le donne siano serie, non pettegole, capaci di controllarsi e fedeli in tutto. 12Il diacono deve essere fedele alla propria moglie, saper governare bene la famiglia ed educare i figli. 13I diaconi che svolgono bene il loro compito saranno onorati da tutti e potranno parlare con sicurezza della fede in Gesù Cristo.

      Il mistero rivelato
14Ti scrivo questa lettera, ma spero di poter venire presto da te. 15Tuttavia può darsi che io non venga presto; perciò voglio che tu sappia come devi comportarti nella casa di Dio, cioè nella chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità.
16Davvero grande è il mistero della nostra fede:
Cristo.
Si è manifestato come uomo.
Fu dichiarato giusto
mediante lo Spirito Santo.
Apparve agli angeli.
Fu annunziato ai popoli pagani.
Molti credettero in lui.
Fu portato nella gloria di Dio.

4         I falsi maestri

1Lo Spirito parla chiaro: ci dice che negli ultimi tempi alcuni abbandoneranno la fede, seguiranno maestri di inganno e dottrine diaboliche. 2Si lasceranno affascinare da ipocriti e imbroglioni che hanno la coscienza segnata con il marchio a fuoco di criminali. 3Questa gente insegnerà che è proibito sposarsi e che non si devono mangiare certi cibi. Ma Dio ha creato questi alimenti perché quelli che credono in lui e conoscono la verità li mangino facendo preghiere di ringraziamento. 4Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio è buono: non c’è niente da scartare. Tutto deve essere accolto ringraziando Dio, 5perché la parola di Dio e la preghiera rendono santa ogni cosa.

      Un buon servitore di Gesù Cristo
6Se darai queste istruzioni ai fratelli nella fede, tu sarai un buon servitore di Cristo Gesù; mostrerai di essere stato nutrito dalle parole della fede e dalla buona dottrina che hai seguìto. 7Non dare ascolto a favole stupide e insensate.
Allenati continuamente ad amare Dio.
8Allenare il corpo serve a poco; amare Dio, invece, serve a tutto. Perché ci garantisce la vita quaggiù e ci promette la vita futura. 9Questa è una parola sicura, degna di essere accolta e creduta. 10Infatti noi lavoriamo e lottiamo, perché abbiamo messo la nostra speranza nel Dio vivente, che è il Salvatore di tutti gli uomini, soprattutto di quelli che credono.
11Queste sono le cose che tu devi raccomandare e insegnare. 12Nessuno deve avere poco rispetto di te perché sei giovane. Tu però devi essere di esempio per i credenti: nel tuo modo di parlare, nel tuo comportamento, nell’amore, nella fede, nella purezza. 13Fino al giorno del mio arrivo, impègnati a leggere pubblicamente la Bibbia, a insegnare e a esortare.
14Non trascurare il dono spirituale che Dio ti ha dato, che tu hai ricevuto quando i profeti hanno parlato e tutti i responsabili della comunità hanno posato le mani sul tuo capo. 15Queste cose siano la tua preoccupazione e il tuo impegno costante. Così tutti vedranno i tuoi progressi. 16Fa’ attenzione a te stesso e a quel che insegni. Non cedere. Facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.

5        Responsabile verso tutti

1Non rimproverare duramente un uomo anziano, ma esortalo come se fosse tuo padre. Tratta i giovani come fratelli, 2le donne anziane come madri, quelle giovani come sorelle, con assoluta purezza.

      Le vedove
3Abbi cura e rispetto per le vedove che sono veramente sole. 4Se invece una vedova ha dei figli o nipoti, bisogna che questi imparino a mettere in pratica la loro fede prima di tutto verso le persone della propria famiglia. Devono imparare ad aiutare i loro genitori, perché così Dio vuole.
5La donna che è veramente vedova e non ha nessuno mette la sua speranza in Dio, e giorno e notte gli chiede aiuto con la preghiera. 6Invece la vedova che pensa solo a divertirsi, anche se vive, è già morta. 7Tu raccomanda che le vedove non si comportino male. 8Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi parenti, specialmente di quelli della sua famiglia, costui ha già tradito la sua fede ed è peggiore di uno che non crede.
9Accetta nella lista ufficiale delle vedove solo quelle che hanno passato i sessant’anni. Inoltre, bisogna che siano state fedeli al marito 10e che siano conosciute per le loro opere buone. Devono aver educato bene i loro figli, essere state generose nell’ospitalità e servizievoli verso tutti i credenti; devono aver aiutato i bisognosi e fatto ogni specie di opera buona.
11Non mettere in quella lista le vedove giovani, perché se poi sono prese dal desiderio di sposarsi di nuovo abbandonano Cristo, 12e così si rendono colpevoli di aver abbandonato il loro primo impegno. 13Inoltre, trovandosi senza niente da fare, queste vedove imparano a girare qua a là per le case; non solo vivono nell’ozio, ma diventano anche curiose e pettegole, parlano di cose delle quali non dovrebbero interessarsi.
14Perciò desidero che le giovani vedove si sposino di nuovo, abbiano figli e si prendano cura della loro casa; in modo che non diano ai nostri avversari occasione di parlar male di noi. 15Purtroppo già alcune hanno abbandonato la strada giusta e sono andate dietro a Satana.
16Se poi una donna cristiana ha delle vedove nella sua parentela, se ne occupi lei, senza essere di peso alla comunità: così la comunità potrà aiutare le vedove che sono veramente sole.

      I responsabili della comunità
17I responsabili che governano bene la comunità meritano doppia ricompensa, specialmente quelli che faticano nella predicazione e nell’insegnamento. 18Dice infatti la Bibbia: Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano; e poi: « Il lavoratore ha diritto alla sua paga ». 19Non ascoltare accuse contro un responsabile se non sono confermate da due o tre testimoni, come dice la Bibbia.
20Se qualcuno ha commesso una colpa, rimproveralo pubblicamente, in modo che anche gli altri ne abbiano timore. 21Ti scongiuro, davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli santi: ubbidisci a queste mie istruzioni e mettile in pratica con tutti, senza fare preferenze per nessuno.
22Non aver fretta quando scegli qualcuno per un incarico nella comunità mediante l’imposizione delle mani, altrimenti sarai responsabile anche dei suoi peccati. Conservati innocente.
23Smetti di bere soltanto acqua; prendi anche un po’ di vino per favorire la digestione, visto che sei spesso un po’ malato.
24I peccati di certe persone si vedono chiaramente anche prima che siano condannate; i peccati di altre persone si scoprono soltanto dopo. 25Come le opere buone si manifestano, così anche quelle non buone non possono restare nascoste.

6        Gli schiavi credenti

1Quelli che si trovano a essere schiavi siano molto rispettosi verso i loro padroni, perché nessuno possa bestemmiare il nome di Dio e parlar male della nostra fede. 2E se i padroni sono cristiani, non possono loro mancar di rispetto, per il semplice fatto che sono fratelli nella fede. Anzi devono servirli ancor meglio, proprio perché compiono un servizio verso persone credenti e amate da Dio.

      Le false dottrine e la vera ricchezza
Sono queste le cose che tu devi insegnare e raccomandare.
3Se qualcuno insegna diversamente, se non segue le sane parole di Gesù Cristo nostro Signore e l’insegnamento della nostra religione, 4- 5è un superbo e un ignorante, un maniaco che va in cerca di discussioni e vuol litigare sulle parole. Da queste cose nascono invidie, contrasti, maldicenze, sospetti cattivi e discussioni senza fine. Chi fa così è gente squilibrata lontana dalla verità. Essi pensano che la religione sia un mezzo per far soldi.
6Certo, la religione è una grande ricchezza, per chi si contenta di quel che ha. 7Perché non abbiamo portato nulla in questo mondo e non potremo portar via nulla. 8Dunque, quando abbiamo da mangiare e da vestirci, accontentiamoci. 9Quelli invece che vogliono diventare ricchi cadono nelle tentazioni, sono presi nella trappola di molti desideri stupidi e disastrosi, che fanno precipitare gli uomini nella rovina e nella perdizione. 10Infatti, l’amore dei soldi è la radice di tutti i mali. Alcuni hanno avuto un tale desiderio di possedere, che sono andati lontani dalla fede e si sono tormentati da se stessi con molti dolori.

      Raccomandazioni a Timòteo
11Ma tu, uomo di Dio, evita tutte quelle cose. Cerca sempre la giustizia, il timor di Dio, la fede, l’amore, la pazienza e la bontà. 12Combatti la buona battaglia della fede: afferra la vita eterna, perché Dio ti ha chiamato a viverla quando hai fatto la tua bella dichiarazione di fede di fronte a molti testimoni. 13Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e davanti a Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza di fede di fronte a Ponzio Pilato, io ti faccio questa raccomandazione: 14ubbidisci al comandamento ricevuto, consèrvati irreprensibile e senza macchia fino al giorno in cui verrà il Signore nostro Gesù Cristo. 15Al tempo stabilito, la sua apparizione sarà decisa da Dio.
Egli è il Sovrano unico e beato,
il Re dei re, il Signore dei signori.
16Egli solo è immortale
e abita in una luce
alla quale nessuno si può avvicinare.
Nessun uomo l’ha mai visto,
né potrà mai vederlo.
A lui onore e potenza, per sempre!
Amen.

      I ricchi
17A quelli che possiedono ricchezze in questo mondo devi raccomandare di non essere orgogliosi. Non mettano la loro speranza in queste ricchezze incerte, ma in Dio: è lui che ci dà tutto con abbondanza, perché noi possiamo farne uso. 18Facciano il bene, siano ricchi di opere buone, generosi e pronti a mettere in comune quel che possiedono. 19Così si prepareranno un tesoro sicuro per l’avvenire, per ottenere la vera vita.

      Ultime raccomandazioni
20Timòteo, custodisci con cura tutto quel che ti è stato affidato. Evita le chiacchiere contrarie alla fede, le obiezioni che vengono da una falsa conoscenza. 21Alcuni hanno preteso di avere questa conoscenza, ma poi si sono allontanati dalla fede.
La grazia di Dio sia con voi!

IL POPOLO, L’ESILIO, IL CAMMINO

Classé dans : CHIESA POPOLO DI DIO — 25 janvier, 2009 @ 4:40

Shalôm !

Shalom 800px-Shalom

 

Premessa
Il popolo
L’esilio
Il cammino
Conclusione

 
Di Carlo Maria Martini

IL POPOLO, L'ESILIO, IL CAMMINO dans CHIESA POPOLO DI DIO martini-primo-piano-thumbnail

Elemento unificatore di queste tre tematiche bibliche – popolo, esilio, cammino - può essere considerato l’annuncio profetico di Isaia 48, canto di trionfo che annuncia la fine dell’esilio:

Uscite da Babilonia, fuggite dai Caldei;
annunziatelo con voci di gioia, diffondetelo,
fatelo giungere fino all’estremità della terra.
Dite:
« Il Signore ha riscattato il suo servo Giacobbe »
(Is 48, 20).

E un altro oracolo proclama:

Svegliati, svegliati,
rivestiti della tua magnificenza, Sion,
indossa le vesti più belle, Gerusalemme
(Is 52, 1).

E ancora:

Fuori, fuori, uscite di là!…
voi non dovete uscire in fretta, ne andarvene come uno che fugge, perché davanti a voi cammina il Signore,
il Dio d’Israele chiude la vostra carovana
(Is 52,11-12).

Si potrebbe ancora citare Ez 36:

Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra
e vi condurrò sul vostro suolo
(Ez 36,24).

Il popolo a cui sono rivolte queste e altre simili parole non è un popolo qualunque, ma il popolo per eccellenza, il popolo di Dio. L’esilio, perciò, non è un castigo senza speranza, una rimozione dalla storia, ma tempo di prova in vista della salvezza. Il cammino diventa così un ritorno pieno di fiducia, come una strada di luce sulla quale tutti i popoli sono invitati a seguire Israele:

Alzati, rivestiti di luce,
perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla su di te
[...] cammineranno i popoli alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere
(ls 60, 1.3).
Così questa promessa del ritorno dall’esilio tocca tutti i popoli:
lo verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue,
essi verranno e vedranno la mia gloria
(ls 66, 18).

In questo cammino, guidati dalla stella della redenzione, anche i lontani diventano vicini al popolo di Israele, i popoli dispersi si radunano in un solo popolo, per adorare un solo Dio, e costruire insieme la pace, lo shalom biblico. 

Pace e unità sono dunque un solo grido profetico, una sola speranza, una preghiera accorata, e questo ce lo diciamo ancora oggi, mentre ascoltiamo il grido delle folle dei poveri che bussano alla nostra porta, dei popoli martiri in tante parti del mondo.Il popolo ebraico, ancora ai nostri giorni, nella sua costante tensione fra una diaspora dalle mille voci e una rinascita nazionale nello stato d’Israele, testimonia del cammino continuo dal particolare all’universale e viceversa, proteso nella ricerca di creare un popolo nuovo e un uomo nuovo, l’antico Adamo rinnovato.

Per i credenti in Gesù Cristo questa tensione può ben esse- re espressa con le parole di san Paolo agli Efesini:

In Cristo Gesù,
voi [popoli pagani] che un tempo eravate lontani,
siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo,
abbattendo il muro di separazione
che era frammezzo, cioè l’inimicizia
[...] per creare in se stesso, dei due,
un solo uomo nuovo facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio
in un solo corpo, per mezzo della croce,
distruggendo in se stesso l’inimicizia.
Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani
e pace a coloro che erano vicini
(Ef2,13-17).

Alla luce di questi testi rifletteremo dunque sui legami fra i tre termini il popolo, l’esilio e il cammino e ci porremo tre domande.
Può ancora oggi il popolo ebraico essere posto da un cristiano sotto la categoria teologica di « popolo di Dio », cioè ricevere lo stesso appellativo che la chiesa cristiana dà a se stessa? È noto infatti che la categoria di « popolo di Dio » è una di quelle che il Concilio Vaticano II ha privilegiato per descrivere la chiesa. Dopo avere, nel primo capitolo della Lumen Gentium, richiamato molti termini e immagini per descrivere la Chiesa, come ovile o campo di Dio, edificio di Dio, tempio, sposa, corpo di Cristo, la costituzione conciliare sviluppa nel secondo capitolo il tema del « popolo di Dio », popolo che « ha per capo Cristo [...] ha per condizione la libertà e la dignità dei figli di Dio  [...] ha per fine il Regno di Dio ».
(1)

In che senso può dunque la stessa espressione designare, nel linguaggio teologico cristiano, anche gli ebrei di oggi?

Una risposta precisa a questa domanda è importante per definire in maniera positiva e con rigore teologico il ruolo provvidenziale e salvifico di quel popolo di Dio che è oggi Israele in una visione cristiana della storia del mondo, come pure per definire il rapporto di comprensione e collaborazione che è possibile sviluppare tra la chiesa e Israele, al di là della mutua accettazione e tolleranza, nel quadro del disegno di Dio sul cammino umano.Di fatto la designazione del popolo ebraico odierno come « popolo di Dio » insieme con la chiesa di Cristo appare per esempio nel documento del Segretariato per l’unione dei cristiani del 4 giugno 1985 dal titolo Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione. In esso si afferma che l’quando il popolo di Dio dell’antica e della nuova alleanza considera l’avvenire, esso tende, anche se partendo da due punti di vista diversi, verso fini analoghi: la venuta o il ritorno del Messia ».(2)

E continua dicendo: la persona del Messia, sulla quale il popolo di Dio è diviso, costituisce per questo popolo anche un punto di convergenza. Si può pertanto dire che ebrei e cristiani si incontrano in un’esperienza simile, fondata sulla stessa promessa fatta ad Abramo (cfr. Gen 12, 1.,3; Eb 6, 13-18) ».(3)

Dunque in questo documento si parla per tre volte di un unico popolo di Dio, intendendo gli ebrei e i cristiani di oggi.

  • Quale significato preciso può avere un tale modo di esprimersi, a cui forse non siamo abituati, e quali conseguenze esso comporta per il nostro agire di cristiani?

  • Che senso può avere l’esilio per il popolo di Dio?

  • Quale in particolare il senso dell’esilio per il popolo ebraico biblico e quale il senso per le chiese cristiane?

  • C’è un significato particolare dell’esperienza dell’esilio per la chiesa cattolica nel suo insieme o comunque per le diverse realtà o aggregazioni che la compongono?

  • Il cammino dell’esilio verso la patria può essere fatto in qualche modo insieme da ebrei e cristiani? Come esso tocca anche gli altri popoli della terra? Il popolo 

  frecup_blu dans CHIESA POPOLO DI DIOVeniamo anzitutto a considerare attentamente, in spirito di fede, il mistero del popolo ebraico, con il quale la chiesa ha in comune un grande patrimonio spirituale (richiamato ampiamente dal Concilio Vaticano nel decreto Nostra Aetate, 4).(4)

Se è vero, infatti, che esistono differenze sostanziali tra cristiani ed ebrei a motivo della fede in Gesù Cristo redentore e della corrispondente dottrina cristologica (evidenti in specie nelle categorie teologiche oggi più correnti, e meno nelle formulazioni giudeo-cristiane originarie), è però altrettanto vero che i figli d’Israele restano « carissimi propter patres » (Rrn 11, 28), partecipi, in quanto figli primogeniti, dei tesori spirituali dell’alleanza di Dio con Abramo e con Mosè. Essi sono, pertanto, nostri « fratelli maggiori nella fede di Abramo » (Giovanni Paolo II, 31 dicembre 1986), in quanto « possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli » (Rm 9,4-5).

Tra questi tesori di fede del popolo ebraico si trovano in particolare le Sacre Scritture ebraiche; la Torah, i Nevi’im (i Profeti), i Ketuvim (Scritti), entrati a far parte del canone cri- stiano. Il Catechismo della Chiesa cattolica, riassumendo una bimillenaria tradizione, afferma: « L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne, poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata ».(5)

Il filosofo ebreo Franz Rosenzweig nel suo libro La stella della redenzione (pubblicato nel 1921) scrive: « Come mostra quella lotta sempre attuale contro gli Gnostici, è l’ Antico Testamento che rende possibile la resistenza del Cristianesimo contro i suoi stessi pericoli interni ».(6)

E sant’Ambrogio diceva: « Bevi per prima cosa l’Antico Testamento, per bere poi anche il Nuovo Testamento. Se non berrai il primo, non potrai bere il secondo ».(7)

Tesori comuni a ebrei e cristiani sono pure la rivelazione del Dio unico, creatore e padre, ma anche tenero e materno; il dono dei comandamenti che hanno dimensione etica universale, di perenne valore per l’umanità; l’intera Torah e lo studio (Talmud) della Parola rivelata.

Tra i segni particolari della fede del popolo di Israele va ricordata la circoncisione. Di essa così parla il Catechismo della Chiesa cattolica: « La circoncisione di Gesù, otto giorni dopo la nascita, è segno del suo inserimento nella discendenza di Abramo, nel popolo dell’Alleanza, della sua sottomissione alla Legge, della sua abilitazione al culto d’Israele al quale parteciperà durante tutta la vita. Questo segno è prefigurazione della ‘circoncisione di Cristo’ che è il battesimo ».(8)

Si può comprendere, quindi, che san Tommaso abbia lungamente studiato questo evento dell’infanzia di Gesù, e al termine della Summa sia giunto alla conclusione che la circoncisione « dava la grazia », in quanto « segno di fede nella passione di Cristo futura »: « Et ideo dicendum quod in circumcisione conferebatur gratia quantum ad omnes gratiae effectus [...] in quantum erat signum passionis Christi futurae« . E in una risposta a un’obiezione aggiunge: « Sed et circumcisio, si haberet locum post passionem Christi, introduceret in regnum« .(9)

Molte e varie possono essere le modalità di accesso al popolo di Israele e al suo mistero. Il Catechismo della Chiesa cattolica ce ne ricorda diverse, tra cui l’epifania di Cristo, con queste parole: « L’Epifania è la manifestazione di Gesù come Messia d’Israele, Figlio di Dio e Salvatore del mondo; insieme con il battesimo di Gesù nel Giordano e con le nozze di Cana, essa celebra l’adorazione di Gesù da parte dei magi venuti dall’Oriente ». La venuta dei magi, che « rappresentano le nazioni pagane circostanti [...] sta a significare che i pagani non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai giudei e ricevendo da loro la promessa messianica quale è contenuta nell’Antico Testamento. L’Epifania manifesta che ‘la grande massa delle nazioni’ entra nella ‘famiglia dei Patriarchi’ (san Leone Magno, Sermones, 23) e ottiene la ‘dignità israelitica’ (Messale Romano, orazione dopo la seconda lettura della veglia pasquale) ».(10)

A proposito del popolo ebraico e della sua missione attuale si possono ancora ricordare alcune autorevoli affermazioni pontificie: « Dio agisce per amore gratuito. Questo amore lega Israele con Dio Signore in modo particolare ed eccezionale. Per esso Israele è divenuto proprietà di Dio [...]. Così nell’Alleanza [del Sinai] nasce un nuovo popolo, che è il popolo di Dio [...]. Israele è chiamato ad essere un popolo di sacerdoti ».(11)

« Israele fa l’esperienza di un Dio personale e salvatore (cfr.Dt 4,37; 7,6-8; Is 43, 1-7), del quale diventa il testimone e il portavoce in mezzo alle nazioni. Nel corso della sua storia Israele prende coscienza che la sua missione ha un significato universale (cfr., ad esempio, Is 2,2-5; 25,6-8; 60, 1-6; Ger 3, 17; 16, 19) ».(12)

Con questi brevi cenni possiamo forse meglio entrare nelle profondità del mistero di quel popolo che è il popolo ebraico e della conseguente comunione che ci lega a esso fin dalle radici della Chiesa, popolo dell’alleanza rinnovata ed eterna. Papa Giovanni Paolo Il riassumeva così (6 dicembre 1990) gli elementi fondamentali su cui sviluppare oggi le relazioni religiose tra queste due parti del popolo di Dio: « Quando noi consideriamo la tradizione ebraica, osserviamo quanto profondamente voi venerate la sacra Scrittura, la Miqrah e in particolare la Torah. Voi vivete una relazione speciale con la Torah, insegnamento vivo di Dio vivo.

Voi la studiate con amore, nel Talmud Torah, per praticarla nella gioia. n suo insegnamento dell’amore, della giustizia, del diritto, è ripetuto nei profeti - Nevi’im - e nei Ketuvim. Dio, la sua santa Torah, la liturgia sinagogale e le tradizioni familiari, sono certamente elementi caratteristici del vostro popolo, dal punto di vista religioso. E questi elementi costituiscono il fondamento del nostro dialogo e della nostra cooperazione ».

A queste relazioni tutte particolari fra chiesa e popolo ebraico fa chiaro riferimento anche il recente Accordo fondamentale fra Santa Sede e Stato di Israele (30 dicembre 1993).

L’esilio  frecup_blu

L’esperienza dell’esilio, della lontananza dalla patria, è presente fin dalle origini del racconto biblico: Adamo ed Eva sono esiliati dal paradiso, Caino fugge ramingo dopo il fratricidio, i popoli si disperdono lontano da Babele. L’esilio e la prigionia toccano poi più direttamente il popolo ebraico: Giuseppe è venduto come schiavo agli egiziani, Israele – il popolo del Nord – è sottomesso agli assiri nel 722 a.C., Giuda e Gerusalemme sono infine distrutte dai babilonesi nel 586 a.C. Viene poi l’ultimo esilio, apparentemente interminabile, dal 70 d.C. al 1948, anno hj della rinascita di uno Stato d’Israele nella terra dei padri.

Come già abbiamo visto a proposito del popolo di Dio, anche nell’esperienza dell’esilio ritornano alcune dimensioni fondamentali della vita di Israele: il suo rapporto con il Dio dell’alleanza, con la terra di santità, con gli altri popoli in mezzo ai quali è disperso. Infine, quasi al limite di ogni esperienza vissuta e possibile, si colloca un abisso di orrore indicibile che ha portato oltre l’esilio, in una notte oscura, il popolo ebraico in Europa sotto il dominio nazista: lo sterminio sistematico, la Shoah.

Mentre dall’esilio ci si poteva attendere che « un resto ritornerà », germoglio santo della redenzione, dalla Shoah questa speranza viene negata in linea di principio.
Possiamo dire che con la Shoah appare possibile un duplice esito dell’esilio: sia come redenzione (l’esito tradizionale annunciato dai profeti), sia come antiredenzione (l’esito diabolico dell’annichilimento del popolo ebraico).

L’esilio di per sé non distrugge il rapporto fra Dio e il suo popolo, anzi, mentre ne rende più acuta l’esigenza, lo fa maturare, predisponendo alla conversione e alla redenzione. Costringendo a lasciare Gerusalemme, l’esilio fa comprendere, nel dolore, tutta la profondità e il valore spirituale del Santo dei santi e dei sacrifici, cessati con la distruzione del tempio. La Shekinah, la Gloria di Dio, non lascia per questo il popolo, ma va con lui in esilio in mezzo alle nazioni pagane, continuando a preparare così la diffusione universale del messaggio della salvezza rivolto in principio a un solo popolo particolare. Il profeta Ezechiele vede la gloria di Dio presso i deportati in Babilonia, e l’annuncia con queste parole: « Giunsi dai deportati di Tel Aviv, che abitano lungo il canale di Chebar, dove hanno preso dimora [...] ed ecco, la gloria del Signore era là » (Ez 3, 15.23); il profeta descrive anche l’esilio della Shekinah: « La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio » (Ez 10, 18).

E un testo della tradizione successiva aggiunge, come sentenza di R. Shimon ben Jochaj: « Vieni e guarda quanto è caro Israele al Santo, benedetto sia: in ogni luogo in cui essi vennero esiliati la presenza di Dio era con loro » (Meghillot 29a).

Nell’esilio millenario si alzano più struggenti le lamentazioni attribuite a Geremia e le elegie, dense di commozione e di pianto per il tempio distrutto. L’esilio è un costante appello alla conversione dal peccato e alla missione di Israele tra le nazioni pagane.

In questo senso l’esilio di Israele è un caso tipico per ogni fatto simile della storia. L’esilio infatti è una situazione dolorosa e spesso drammatica, che, in vario modo, tocca tante persone e tanti gruppi sociali. Anche ai nostri giorni i fenomeni dell’emigrazione, delle guerre, delle fughe di intere popolazioni ci coinvolgono tutti. « 

La risposta esemplare offerta dal popolo ebraico può pertanto essere considerata paradigmatica: nelle situazioni d’esilio scaturisce più intensa la preghiera, matura la coscienza della fraternità, si creano nuovi vincoli e strutture di solidarietà.

Ben diversa è la situazione di quell’aldilà dell’esilio che può rifarsi alla Shoah. L’immensità del martirio del popolo ebraico sembra qui invitarci a un infinito silenzio, dal quale possa scaturire un proposito, un gesto, un grido di perdono a causa del male compiuto. La conversione, dopo la Shoah, è un appello urgente e necessario non per il popolo ebraico in esilio, ma per coloro che hanno concepito e predisposto l’annientamento di questo popolo, e con esso, per assurdo, l’annientamento di Dio stesso, se fosse stato possibile. 

Il paganesimo assoluto e mostruoso è apparso nel centro dell’Europa del ventesimo secolo, dopo duemila anni di annuncio del Vangelo.Spesso, purtroppo, dobbiamo riconoscere che la dottrina cristiana aveva proposto un « insegnamento del disprezzo » nei confronti dei nostri fratelli ebrei. Dopo la Shoah, dobbiamo sostituirlo con « l’insegnamento del rispetto », della conoscenza, della stima, dell’amore fraterno.

Dobbiamo anche vigilare attentamente perché i sentimenti del passato non ritornino mai più, né nella chiesa, né nei giovani, ne nella società. Abbiamo bisogno anche noi della conversione, la teshuvah, per riprendere insieme il cammino della salvezza. Preghiamo il Signore che ci dia occhi nuovi ed energie rinnovate per questo pellegrinaggio.

Infatti il popolo ebraico, aiutandoci a comprendere il senso di ogni sofferta lontananza dalla patria, ci invita a riflettere su forme particolari di esilio che toccano da vicino il popolo dei cristiani, il popolo di tutti i credenti in Cristo (cattolici, ortodossi, protestanti) e anche il senso di esperienze di esilio per i cattolici, nella loro totalità o in gruppi e aggregazioni diverse.

Vi sono tante vicende storiche che possono essere interpretate come l’ esilio da una patria, da una cultura, da un contesto culturale, sociale e anche politico al quale ci si era abituati e anche un po’ come adattati. In questo senso ogni privazione di un radicamento precedente, di una terra sicura sotto i piedi,di un terreno su cui contare, di un palazzo o di una casa spirituale da abitare con tranquillità è una prova, una sofferenza, spesso anche uno strappo doloroso, un trauma.
A esso si può reagire con la rabbia, oppure con una nostalgia rassegnata e passiva, o addirittura con il chiudere gli occhi all’evidenza e non volere che ci sia stato ciò che c’è stato, o volere a tutti i costi il ritorno a ciò che fu.

È possibile invece reagire come i profeti hanno insegnato a Israele: riconoscendo la mano di Dio, lasciandosi purificare dalla prova, cercandone il senso.

Una particolare forma di esilio, di privazione della patria, è quella dell’esilio culturale, dello sfocarsi di evidenze ideologiche che costituivano la tela di fondo su cui esprimere i nostri pensieri, del venir meno di abitudini che sembravano ovvie. Vi sono, sia chiaro, alcune certezze che non verranno mai meno: sono quelle che riguardano l’amore di Dio che è stato diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo, l’amore con cui Cristo ci ha amato fino alla morte. Su questo non può esserci dubbio. Qui, come dice san Paolo, « la speranza non delude » (Rm 5, 5). Ma vi sono al contrario giudizi categoriali, abitudini mentali, processi ideologici su cui contavamo, che è bene che talora vengano messi in questione, per cogliere ciò che è essenziale. L’esilio diventa allora uno stimolo per il cammino.

Il cammino  frecup_blu

La chiesa crede di essere il popolo di Dio pellegrino nel   mondo, popolo bisognoso di conversione e chiamato in Cristo a essere servo di pace tra gli uomini e i popoli.Nello stesso tempo, con eguale forza, la chiesa riconosce egualmente nel popolo ebraico un popolo chiamato esso pure a una missione particolare di santità e di pace nel mondo.
Pensatori, teologi ed esegeti hanno il dovere di riflettere sui vari aspetti di questo popolo di Dio che si presenta in due diverse comunità di fede. 

Ma il fatto che abbiamo ripreso, dopo duemila anni di estraneità, incomprensioni, persecuzioni, a parlarci e a camminare insieme, lavorando insieme per la pace e la giustizia, è una prova forse maggiore delle dimostrazioni teologiche, di cui pure abbiamo urgente bisogno. 

È quanto affermava il 2 febbraio 1994 il cardinale Ratzinger a Gerusalemme durante un convegno interreligioso: « Penso che il nostro compito principale è diventato più chiaro [...] Ebrei e cristiani dovrebbero accettarsi reciprocamente in profondo spirito di riconciliazione interiore, non disprezzando o negando la propria o altrui fede, ma a motivo delle radici della loro fede. Nella loro mutua riconciliazione dovrebbero divenire una forza di pace nel mondo e per il mondo. Con la loro testimonianza dell’unico Dio, che non può essere adorato senza un amore unico per Dio e per il prossimo, essi dovrebbero aprire per Dio la porta nel mondo, così che la sua volontà ‘sia fatta in terra così come è fatta in cielo’, perché ‘venga il Suo Regno’ « .Il nostro camminare insieme è un peregrinare operoso e orante verso la città di Dio, la celeste Gerusalemme, verso quella che possiamo chiamare tutti la « nostra terra », il « nostro paese ».
Possiamo ascoltare in proposito una delle grandi preghiere : che nutrono la fede del popolo ebraico in cammino, la Ahavà . rabbà: 

Di un grande amore ci hai amati, Signore, nostro Dio; di una grande, infinita pietà ci hai fatto oggetto. Nostro Padre, nostro Re, in , grazia dei nostri progenitori che hanno avuto fede in te e ai quali hai insegnato le tue leggi di vita, sii propizio anche con noi e istruiscici. Padre nostro, Padre misericordioso, clemente, abbi pietà di noi e dà al nostro cuore la facoltà di discernere e di comprendere, di ascoltare, di imparare e di insegnare, di osservare e di praticare con amore tutte le parole che studiamo nella tua Torah. Illumina i nostri cuori con la luce della tua Legge, avvinci il nostro cuore ai tuoi comandamenti e disponi il nostro animo all’amore e i al timore del tuo Nome, sì che non abbiamo mai da arrossire. Noi fidiamo nel tuo Nome santo, grande e venerabile e perciò noi giubileremo e gioiremo per il tuo soccorso. Riuniscici in pace dai i quattro angoli della terra e riconducici a testa alta nel nostro paese, poiché tu sei Dio, autore di salvezza, e noi hai scelto fra tutti i popoli e tutte le lingue e ci hai avvicinati al tuo Nome grande perché ti lodiamo e proclamiamo la tua unità con ardore. Benedetto tu, Signore, che nel tuo amore eleggesti il tuo popolo Israele.

La meta e il centro di questo cammino dei popoli è Gerusalemme. Verso di essa leviamo i nostri occhi, per la sua pace prega il nostro cuore. Ma non per questo dimenticheremo l’immensa e urgente sofferenza del mondo. Lavoreremo insieme, qui, ovunque.

Tra gli impegni comuni vorrei ricordare anche quello contenuto negli accordi tra Santa Sede e Stato d’Israele, per combattere ogni forma di antisemitismo e tutti i tipi di razzismo e di intolleranza religiosa. Tale impegno va sempre mantenuto alto, in tutti i campi.
Altre aree e modalità di collaborazione sono state definite dal Comitato internazionale cattolico-ebraico, che fu istituito ne1 1970. 

Si è discusso dei temi della famiglia, ecologia e diritti umani. Per la prima volta, forse dal 49 d.C., cioè dal Concilio di Gerusalemme, temi religiosi e precetti esplicitamente elaborati dalla comunità e dalla tradizione ebraica e dalla comunità cristiana (in questo caso in materia di famiglia) sono stati affermati come tali, e come tali sono entrati in un documento comune sulla famiglia. In questa dichiarazione comune si afferma « il valore sacro del matrimonio stabile e della famiglia [...]

La famiglia è la risorsa più preziosa dell’umanità. Per ebrei e cristiani è una comunità stabile di amore e solidarietà fondata sull’alleanza di Dio ».Camminando insieme stiamo cominciando a sperimentare e a capire che l’identità cristiana non ha bisogno, per affermarsi, di negare l’identità ebraica e la Torah, né, viceversa, l’identità ebraica si afferma negando il valore della chiesa, popolo dell’alleanza rinnovata nel sangue di Cristo.

Ancor più fortemente e in modo asimmetrico, noi cristiani abbiamo invece bisogno, per comprendere la chiesa, di affermare l’identità ebraica e la Torah. Franz Rosenzweig lo esprime in maniera efficace: « Se il cristiano non avesse alle sue spalle l’ebreo, si perderebbe, dovunque si trovi ». (13)

Conclusione  frecup_blu

Vedo un grande monito e una grande missione.
Occorre affermare la propria identità non nella contrapposizione ma nella apertura e nella comprensione.
Potremo capire sempre meglio noi stessi quanto più ci sforzeremo di capire, amare, apprezzare tanti altri, anche molto diversi, cercando le radici dell’impegno comune.
A proposito dell’impegno comune per la famiglia, il documento ebraico-cristiano sulla famiglia sopra citato dice ancora:

« La società è chiamata a sostenere i diritti della famiglia e dei membri della famiglia, specialmente donne e bambini, il povero e il malato, il giovanissimo e l’anziano, a una sicurezza fisica, sociale, politica ed economica. I diritti, doveri e opportunità delle donne sia in casa come nella più ampia società devono essere rispettati e promossi. Nell’affermare la famiglia, noi vogliamo raggiungere nello stesso tempo anche altre persone come le persone non sposate, i genitori singoli, i vedovi e le vedove e coloro che non hanno bambini, nelle nostre società e nelle nostre sinagoghe. In vista della dimensione mondiale della questione sociale oggi, il ruolo della famiglia è stato esteso così da coinvolgere una cooperazione per un nuovo senso di solidarietà internazionale ».

La nostra reciproca estraniazione di ebrei e cristiani è durata venti secoli, ci siamo inflitti reciprocamente un esilio ingiusto che ha privato noi e il mondo di immense ricchezze spirituali. Si è trattato, insieme, di un esilio dalla Terra di Dio e dalla casa del fratello. Ecco ora il tempo propizio, il momento favorevole: lavoriamo da fratelli perché altri fratelli, altri popoli, passino dall’esilio al cammino comune, al santo pellegrinaggio verso la Gerusalemme che è nostra madre, città di pace e di giustizia.

_________________________
1. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 9: Enchiridion Vaticanum 1/309.
2. N. 10: Enchiridion Vaticanum 9/1634.
3. Ibidem.
4. Cfr. Enchiridion Vaticanum 1/86155.
5. Catechismo della Chiesa cattolica, D. 121.
6. La stella della redenzione, Marietti, Genova 1985, p. 443.
7. Commento ai dodici salmi, Sal 1, 33.
8. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 527.
9. Summa Theologiae, IIIa, q. LXX, art. IV, corpus et ad 4.um.
10 Catechismo della Chiesa cattolica, n. 528.
11 Giovanni Paolo II, Catechesi del mercoledl, 16 agosto 1989.
12 Giovanni Paolo Il, Redemptoris Missio, 12: Enchiridion Vaticanum 12/574.
13 La stella della redenzione, cit., p. 442.

[Relazione al meeting di Rimini, 20 agosto 1994, in Guardando al futuro, EDB, Bologna 1995]
http://www.nostreradici.it/popolo_esilio_cammino.htm#premessa

Concerto brandeburghese n.2

melogranino

Lo chiamano il “testamento” del Cardinale. Non ne sono convinto. Invito a leggere sapientemente e senza pregiudizi le riflessioni che l’Arcivescovo pone a quel POPOLO DI DIO di cui ha descritto e sintetizzato  sopra il lungo cammino. E’ solo un estratto del libro ma è sufficientemente significativo. 

MARTINI, IL CARDINALE E DIO      

card_martini2

Marco Politi
(« La Repubblica », 19/5/’08)

Nell’ultima stagione della sua vita, Carlo Maria Martini si confessa ad un confratello austriaco e ne nascono i « Colloqui notturni a Gerusalemme », appena editi da « Herder » in Germania, che rappresentano il suo « testamento spirituale ».

melograninoConfessa di essere stato anche in conflitto con Dio, elogia Martin Lutero, esorta la Chiesa al coraggio di riformarsi, a non allontanarsi dal « Concilio » e a non temere di confrontarsi con i giovani.

melograninoUn vescovo, rammenta, deve saper anche osare, come quando lui andò in carcere a parlare con militanti delle « Brigate Rosse » «e li ascoltai e pregai per loro e battezzai pure una coppia di gemelli di genitori « terroristi », nata durante un processo».

melograninoCon padre Georg Sporschill, « gesuita » anche lui, l’ex arcivescovo di Milano è di una sincerità totale. Sì, ammette, «ho avuto delle difficoltà con Dio». Non riusciva a capire perché avesse fatto patire suo Figlio in Croce. «Persino da vescovo qualche volta non potevo guardare un crocifisso perché l’interrogativo mi tormentava». E neanche la morte riusciva ad accettare. Dio non avrebbe potuto risparmiarla agli uomini dopo quella di Cristo?

melograninoPoi ha capito. «Senza la morte non potremmo darci totalmente a Dio. Ci terremmo aperte delle uscite di sicurezza». E invece no. Bisogna affidare la propria speranza a Dio e credergli. «Io spero di poter pronunciare nella morte questo « SÌ » a Dio».

melograninoPerò, se potesse parlare con Gesù, Carlo Maria Martini gli chiederebbe «se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi accoglierà».

melograninoI « discorsi di Gerusalemme » sono come un lungo simposio notturno, senza bevande, alimentati soltanto dallo scorrere dei ragionamenti, rassicurati dalle ombre calde di una sera che si prolunga fino all’alba.

melograninoC’è stato un tempo – racconta – in cui « ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alle gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane.

melograninoOggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa ».

melograninoEppure a ottantun anni il cardinale, grande « biblista », non rinuncia a suggerire alla Chiesa di avere coraggio e di osare riforme. È essenziale avere la capacità di andare incontro al futuro.

melograninoIl celibato, spiega, deve essere una vera vocazione. Forse non tutti hanno il carisma. Affidare ad un parroco sempre più parrocchie o importare preti dall’estero non è una soluzione. « La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea. La possibilità di ordinare « viri probati » (cioè uomini sposati di provata fede, « ndr ») va discussa ».

melograninoPersino il sacerdozio femminile non lo spaventa. Ricorda che il « Nuovo Testamento » conosce le diaconesse. Ammette che il mondo ortodosso è contrario. Ma racconta anche di un suo incontro con il primate anglicano Carey, al tempo in cui la Chiesa anglicana era in tensione per le prime ordinazioni di « donne-sacerdote » (avversate dal Vaticano). « Gli dissi per fargli coraggio che questa audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare avanti ».

melograninoSul sesso il cardinale invita i giovani a non sprecare rapporti ed emozioni, imparando a conservare il meglio per l’unione matrimoniale, ma non ha difficoltà a rompere « tabù », « cristallizzatisi » con Paolo VI, Wojtyla e Ratzinger. « Purtroppo l’Enciclica ‘Humanae Vitae‘ ha provocato anche sviluppi negativi.

Paolo VI sottrasse consapevolmente il tema ai padri conciliari ». Volle assumersi personalmente la responsabilità di decidere sugli « anticoncezionali ». « Questa solitudine decisionale a lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della sessualità e della famiglia ».

A quarant’anni dall’Enciclica, dice Martini, si potrebbe dare un « nuovo sguardo » alla materia. Perché la Bibbia, ricorda, è molto sobria nelle questioni sessuali. Assai netta è soltanto nel condannare chi irrompe, distruggendo, in un matrimonio altrui. Chi dirige la Chiesa, sottolinea, oggi può « indicare una via migliore dell »Humanae Vitae’ ». Il Papa potrebbe scrivere una nuova Enciclica.

melograninoE l’omosessualità? Il porporato ricorda le dure parole della Bibbia, ma rammenta anche le pratiche sessuali degradanti dell’antichità. Poi aggiunge delicatamente: « Tra i miei conoscenti ci sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali. Non mi è stato mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli ». « Troppe volte », soggiunge, « la Chiesa si è mostrata insensibile, specie verso i giovani in questa condizione ».

melograninoC’è un « filo rosso » che lega i suoi ragionamenti nella quiete di Gerusalemme. I credenti non hanno bisogno di chi instilli loro una cattiva coscienza, hanno bisogno di essere aiutati ad avere una « coscienza sensibile ». E vanno stimolati continuamente a pensare, a riflettere. « Dio non è cattolico », era solita esclamare Madre Teresa.

« Non puoi rendere cattolico Dio », scandisce Martini. Certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini, ma Dio è al di là delle frontiere che vengono erette. « Ci servono nella vita, ma non dobbiamo confonderle con Dio, il cui cuore è sempre più largo ». Dio non si lascia « addomesticare ».

melograninoSe questa è la prospettiva ci si può rivolgere con spirito più aperto al non credente o al seguace di un’altra religione. Con chi non crede ci si può confrontare sui fondamenti etici, che lo animano. Ed è bello camminare insieme a chi ha una fede diversa. « Lasciati invitare ad una preghiera con lui – suggerisce con mitezza Martini – , portalo una volta ad un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano. Non avere paura dell’estraneo ».

melograninoPer il cardinale la grande sfida « geopolitica » contemporanea è lo scontro delle civiltà. « Conoscono davvero i cristiani il pensiero e i pensieri dei musulmani – si chiede Martini – , e come fare per capirsi? ». Tre sono le indicazioni.

  • Abbattere i pregiudizi e l’immagine del nemico, perché i terroristi non possono davvero fondarsi sul « Corano ».

  • Studiare le differenze.

  • Infine avvicinarsi nella pratica della giustizia, perché l’ »Islam » in ultima istanza è una religione figlia del cristianesimo così come il cristianesimo è figliato dal giudaismo.

melograninoLa « regola aurea » del cristiano – Martini lo ribadisce in questo suo scritto che assomiglia tanto ad un « testamento spirituale » – è: « Ama il tuo prossimo come te stesso ». Anzi, spiega con la precisione dello studioso della Bibbia, Gesù dice di più: « Ama il tuo prossimo perché è come te ».

melograninoDa lì sorge l’imperativo a praticare giustizia. « È terribile », insiste Martini, « invocare magari Dio nella ‘Costituzione Europea’, e poi non essere coerenti nella giustizia ». E qui il cardinale di « Santa Romana Chiesa » tira fuori il « Corano » e legge la splendida « sura seconda ».

  • Non si è giusti, se ci si inchina per pregare a Oriente o a Occidente. Giusto è colui che crede in « Allah » e nell’ »Ultimo Giudizio ».
  • Giusto è colui che « pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai pellegrini ».
  • Chi fa l’elemosina e riscatta gli incarcerati. « Costui è giusto e veramente timorato di Dio ».

melograninoPoi torna a riflettere sull’ »Aldilà ». C’è l’ »Inferno »? Sì. « Eppure ho la speranza che Dio alla fine salvi tutti ». E se esistono persone come un « Hitler » o un assassino che abusa di bambini, allora forse l’immagine del « Purgatorio » è un segno per dire: « Anche se tu hai prodotto tanto ‘inferno’ (sulla terra), forse dopo la morte esiste ancora un luogo dove puoi essere guarito ».

melograninoNon finirebbero mai i « discorsi notturni » di Gerusalemme. Lo si capisce dall’andamento quieto delle domande e delle risposte. Come onde che si susseguono. Martini nel frattempo è rientrato in Lombardia, fiaccato dal « Parkinson ». A chi lo ascolta, lascia questo segnale: « Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe, dubitare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio ».

 

FORUM | BLOG

COME MUORE UN ORDINE RELIGIOSO

Classé dans : COME MUORE UN ORDINE RELIGIOSO — 4 janvier, 2009 @ 2:56

ordinedisantospiritoinsassiadiroma.jpg

La chiesa di Santo Spirito anche dopo le secolarizzazioni dei beni ecclesiastici ha continuato a fungere da punto di riferimento spirituale per le esigenze dell’ospedale, anche per la presenza di una Confraternita Ospedaliera. Nello steso tempo fungeva anche da parrocchia per San Pietro, per tutto il territorio di detta parrocchia nello stato italiano, anche dopo il riconoscimento dello Stato Città del Vaticano.

Nel 1986, quando l’intera zona aveva perso abitanti, perché le abitazioni erano ormai diventati uffici, cessò la funzione parrocchiale. Nel 1993 fu eretta sede cardinalizia diaconale. Nello stesso tempo il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa, la promosse a Centro di Spiritualità della Divina Misericordia, legato alla figura di suor Faustina Kowalska, successivamente proclamata santa dalla Chiesa cattolica. La chiesa dello Spirito Santo assunse anche il nome di santuario della Divina Misericordia.[1]

Cardinale Titolare è S.E. Card. Fiorenzo Angelini che nella Festa della Divina Misericordia del 2002 il papa Giovanni Paolo II elevato a cardinale presbitero elevando al tempo stesso la Chiesa di Santo Spirito in Sassia a titolo di sede cardinalizia presbiterale

 ordinedisantospiritoinsassiadiromalospedalejpg.jpg

Corsia Sistina

L’Arcispedale di Santo Spirito è un antico ospedale (ora centro congressi) nei pressi di Città del Vaticano, a Roma, adiacente al moderno Ospedale di Santo Spirito in Saxia, che ne prosegue la tradizione.La denominazione originale, Sanctus Spiritus in Saxia, ne ricorda l’origine come ricovero dei pellegrini inglesi (sassoni), fondato secondo la tradizione da re Ina nel VIII secolo. Fu costituito come « ospitale » all’inizio del XII secolo da papa Innocenzo III.

CORSIA SISTINA

L’edificio più antico fu ricostruito nella forma in cui lo vediamo oggi alla fine del XV secolo da papa Sisto IV. Da lui l’edificio prende il nome di Corsia Sistina.

L’interno consiste in due vani simmetrici, detti bracci, di lunghezza complessiva di più di 120 metri, larghi 10 ed alti circa 13, illuminati da finestre rettangolari di circa 2×3 m appena sotto la copertura lignea orizzontale in travi e travetti decorati con disegni naturalistici ed astratti. I due bracci sono raccordate dalla zona dell’altare, coperta da un tiburio ottagonale in cui si aprono alcune bifore. L’edificio, internamente assai spoglio, tranne gli affreschi che propongono scene della vita dei due papi, è attualmente adibito a sede di congressi ed altre manifestazioni.

GLI OSPEDALI A ROMA

ospedalesantospirito1modellino.jpgA Roma, in epoca remota, non esisteva una vera e propria assistenza per i malati. Le cure venivano praticate nell’ambito della famiglia dal “pater familias”. Già a partire dal III secolo a.C. nacquero luoghi pubblici dedicati all’assistenza ai malati. Una delle prime forme furono i templi o asclepei e le medicatrinae o tabernae mediche, cioè ambulatori annessi alla casa del medico dove si praticavano cure a metà strada tra sacralità e magia che avevano ben poco a che fare con la medicina intesa in senso moderno.

Funzionavano invece come ospedali i valetudinaria, grandi costruzioni per lo più private, non di derivazione greca ma istituzione prettamente romana. Erano presenti presso le grandi aziende agricole, le palestre e soprattutto presso gli accampamenti. Questi ospedali non erano aperti al cittadino comune, ma vi venivano curate solo le persone necessarie al buon funzionamento dello Stato: i servi delle aziende agricole, gli atleti e i militari.

Per avere l’ospedale gratuito e aperto a tutti bisogna aspettare quel cambio di mentalità che si verificò con il cristianesimo. Non a caso, si fanno risalire all’imperatore cristiano Costantino i primi esempi di ricoveri per malati, precursori degli ospedali moderni. Erano chiamati xenodochi. Nell’VIII secolo gli xenodochi accrebbero le proprie disponibilità, tanto che l’assistenza venne estesa anche ad altre fasce di bisognosi, come le vedove e gli orfani. La Chiesa ne riconosceva l’alto valore sociale di carità ed assistenza pubblica e s’impegnò nei vari Concili al loro mantenimento e alla loro diffusione.

La prima testimonianza sul cambiamento del nome risale al 724: in una carta di donazione di beni alla chiesa di San Quirico di Capannoli a Lucca troviamo citato un “ospitale”, e già intorno all’anno Mille si vanno sempre più diradando le notizie relative agli xenodochi, sostituiti ormai ovunque dagli “ospitali”. Tra gli ospedali più antichi di Roma troviamo l’Ospedale Santo Spirito in Sassia (1198) per opera di Innocenzo III, le cui origini però si fanno risalire al 717 d.C. quando ma, re del Wessex, fondò la “schola saxonum”, cioè un albergo, ospizio, ospedale, chiesa e cimitero per accogliere gli Angli e i Sassoni che, dopo l’evangelizzazione da parte di Gregorio Magno, sempre più numerosi venivano a visitare le tombe apostoliche a Roma. Altre “scholae” di questo tipo sorsero un po’ ovunque a Roma: ve ne erano per i Frisoni, i Franchi, i Longobardi, gli Ungari, e perfino per gli Etiopi e gli Armeni, ed erano mantenute dai rispettivi paesi.

ospedalesantospiritoingresso.jpgL’Ospedale, dopo varie traversie, tra cui un incendio che distrusse completamente l’originario edificio innocenziano, fu completamente ricostruito da Sisto IV tra il 1473 e il 1478. Il modellino (sala Flajani) ben rappresenta la grande aula rettangolare, “la corsia sistina” lunga 123 m, larga 12,50 e alta oltre 13, divisa al centro da un tiburio ottagonale. Lungo la corsia, tra le finestre, sono affrescati episodi della vita di Innocenzo III e di Sisto IV.

Sull’esempio dell’Ospedale Santo Spirito, a partire dalla fine del XII secolo, a Roma ne sorsero molti altri. Nel XIV secolo se ne contano circa 27, alcuni dei quali sono ancora oggi funzionanti come quello di San Giacomo in Augusta, detto degli Incurabili perché ospitava i sifilitici, fondato nel 1339 tra Porta del Porta del Popolo e il Mausoleo di Augusto, e l’Ospedale del Salvatore a San Giovanni in Laterano, Costruito nel 1348, risultante dalla fusione di alcuni piccoli ospedali, fra cui uno molto antico chiamato Sant’Angelo.

ospedalesantospiritomodellino2.jpgAltri, altrettanto importanti nei secoli scorsi, sono stati adibiti ad usi diversi: quello di Santa Maria della Consolazione – fondato nel 1470 ai piedi del Campidoglio e divenuto Arcispedale nel 1505 in seguito alla fusione con altri tre piccoli ospedali (Santa Maria del portico, Santa Maria delle Grazie e Santa Maria della Consolazione) – oggi è sede del Comando dei Vigili Urbani. Di tanti altri è rimasta solo la memoria, come l’Ospedale della SS. Trinità dei pellegrini, situato nei pressi di via Arenula: venne fondato nel 1548 dal prete senese Crescenzio Selva, con l’appoggio di san Filippo Neri, per accogliere i pellegrini.

COMPLESSO MONUMENTALE DI SANTO SPIRITO IN SAXIA

http://www.asl-rme.it/Percorso_Monumentale/HOME.htm

 

AURORA E TRAMONTO DI UN ORDINE RELIGIOSO

Nel volume IV dell’Antologia degli scritti dello Storico dei Fatenenefratelli, Padre Gabriele Russotto, a pagina 93 si narra di una comunità di frati ospedalieri che Papa Innocenzo III, nel 1198, confermò come Ordine di Santo Spirito.

IN COSTRUZIONE

 

Caro Fra Luigi – « Il soave profumo di Cristo… »

Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 3 janvier, 2009 @ 4:55

cammino2dscn2209.jpg

Buon giorno!
Ho letto con piacere quanto mi hai mandato, sia la Tua lettera, sia quella di Mosignor Enrico Ghezzi e il discorso tenuto dal Papa Giovanni Paolo Secondo alla Parrocchia di Padre Ghezzi. Desidero però soffermarmi sulla lettera di P. Ghezzi: il Padre sottolinea come in questo quarantennio si sono adoperati molto nelle ristrutturazioni e ammodernamento degli ambienti e delle attrezzature, ma poco , troppo poco del coinvolgimento dei Religiosi e sopratutto di seri investimenti nelle Risorse Umane riguardante la « Formazione » in senso lato, vale a dire sia Professionale sia Religiosa.

Alla luce di quanto sopradetto vorrei far notare che da molto tempo a questa parte i Priori sono supportati da Direttori Amministrativi; ciononostante mi sembra che non si sta sfruttando questo periodo come tempo di Grazia, dedicandoci di più alla Formazione e allo Studio per essere ancora Oggi dei Fatebenefratelli sì « Diversi » ma solo in questo modo portatori del Messagio dei Valori Eterni e della « Cartà » che ci può fare tutti Fratelli gratificati e realizzati per il Regno di Dio. Ciao. Buona Pentecoste e a risentirci. Saluti.

Fra Luigi Garbin o.h.

________________________________________

elfundadorgiovannididio.jpg
03 Giugno 2009

Caro Fra Luigi,

questa mia è la nuova versione in risposta alla tua. La precedente è andata inspiegabilmente in fumo mentre te la inviavo, restandoti solo la preghiera. Spero che almeno questa giunga a buon fine.

Comincio col chiarirti una cosa: quando ti ho scritto che Don Enrico è monsignore, secondo lui anch’io avrei preso un abbaglio. Tu sai bene che a Roma si viene considerati se almeno si è monsignori o dottori. Qualcuno che in curia lo stima e lo considera, ha dedotto che egli dev’essere almeno monsignore e gli ha affibbiato il titolo in internet. Lui sostiene trattarsi di una bufala. Comunque, sia come sia, don Enrico è don Enrico e per noi è più che sufficiente. Mentre lui non ne soffre per non esserlo.

Sono contento che le mie ultime segnalazioni ti abbiano fatto bene al cuore.

Credo che la diagnosi stilata da Don Enrico corrisponda al vero. In un’altra circostanza mi ha scritto: “è come se si pretendesse di riformare la scuola cambiando i banchi”. Forse si è verificato proprio questo inconveniente.

Nella considerazione che fai sui Priori che da anni sono affiancati da Direttori Amministrativi, evidenzi senza dirlo che le “riforme conciliari” non possono essere decisioni prese a tavolino con circolari o delibere o atti capitolari, ma di altra natura se non si vuole che risultino fuochi di paglia. Pensa: può succedere persino alla Parola di Dio:

“«Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono.
• Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò.
• Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono.
• Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno.
• Chi ha orecchi, ascolti». (Mt 13, 1-23)

Anche oggi il Signore Gesù ci affianca lungo il cammino come il “misterioso forestiero” sulla Gerusalemme -Emmaus. Egli continua a sostenerci come aveva promesso: “sarò con voi fino alla fine”. Ma si rivela a una condizione: che si decida di ospitarlo: .

Questa espressione l’abbiamo messa in musica e la si canta. Ma se non è un desiderio sincero della Comunità e solo un’espressione cortese, un “tanto per dire”, si possono fare pie pratiche devote, inni e cantici, indire convegni nazionali ed internazionali, stampare libri ed articoli…e continuare a sentirsi sempre più soli e delusi.

Te la ricordi la Lettera Pastorale del Card. Martini dal titolo “Ripartire da Emmaus” ? Bisogna rispolverarla e rifarsi ad essa proprio nel momento in cui il Priore Generale propone di trasformare l’Ordine in Famiglia Ospedaliera. Tutto si può fare. Ma la casa sta in piedi solo se è costruita nel segno dello Spirito. Che vuol dire – come suggeriva Paolo VI –

Con il fuoco nel cuore
• la Parola sulle labbra
• la profezia nello sguardo

Se non impariamo la lezione di Emmaus, ogni iniziativa è desinata a deluderci ed il ripetersi delle frustrazioni non fanno che accumularci amarezza e condurci ad un vivere rassegnato.

L’anno Paolino giunge al termine. Sarebbe un peccato che anche questa opportunità di riscoprire il “realismo” che lo anima, andasse perduta dai membri della Provincia che di realismo hanno bisogno, più che di pane, bloccati come sono da incantesimi e parole magiche.

Il realismo di Paolo deriva dal fatto che egli ha permesso allo Spirito di sciogliere l’agitazione del suo cuore. A questa “peste di uomo” (cf At 24,5) il Signore Gesù affida la missione di essere Apostolo delle genti. Ma, dal canto suo Paolo si lascia afferrare, ferire e coinvolgere personalmente, fino a pagare di persona, con la stessa vita, la sua fedeltà.

(Alla fine della lettera, per comodità, ti riporto questo passo degli Atti che, mutatis mutandis, mi fa pensare alla fine umanamente ingloriosa di San Benedetto Menni, Priore Generale, fatto decadere, esiliato e morto in Francia. E’ avvenuto nel secolo lasciato alle spalle. Credo siano pagine come queste che possono restituire la carica persone anche avanti negli anni, perché donano il vigore spirituale di avanzare sulle difficoltà di ogni genere) .

Il Paolo convertito è l’uomo di prima: non è stato salvato dalla sua umanità, dai suoi limiti o dal suo carattere, ma attraverso tutto questo. Afferrato da Cristo, ha accettato la trasformazione del cuore, ha messo in discussione le sue radicate convinzioni, fino a diventare “sacramento”, cioè segno e strumento della salvezza che annuncia: “Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo” . (1Cor 11,1).

A Sydbey, il 21 luglio 2008 Benedetto XVI ha detto ai giovani: “…I vostri sforzi hanno preparato il terreno perché lo Spirito scendesse con forza”. E’ lo stesso augurio che fai a me quando mi scrivi “Buona Pentecoste”. Io, tu, Enrico e tutti gli altri…siamo contadini chiamati a preparare il terreno. E’ la stessa missione di Paolo.

Hai mai pensato al significato della parola “culto” ? Ha una radice latina che significa proprio “coltivare”. Questo e il ruolo o vocazione: coltivare quotidianamente nella celebrazione e nella vita, ciò che Dio è.

Tu richiami il quarantennio scorso con una vena di delusione. Condivido la diagnosi che ne fa Don Enrico.

Chi più chi meno, abbiamo tutti coltivato ciò che abbiamo voluto. Abbiamo coltivato ciò che abbiamo pensato, ciò che ci è sembrato giusto (incluse le nostre pratiche religiose) . Forse non abbiamo coltivato, ossia non abbiamo prestato il vero culto a Dio: anziché servire Dio, ci siamo serviti di Lui. A lunga distanza, il conto da pagare risulta salato. Anche se il Signore Gesù è geneticamente portato al “condono”.

Guarda Paolo: ha capovolto tutto: dall’esperienza del Tempio è passato all’esperienza del Nuovo Tempio, Cristo Gesù, l’Agnello pasquale. L’esperienza è così radicale che può definire il corpo dei cristiani come “tempio di Dio” (cf 1Cor3, 16-17; 6, 18-20).

Sai, questo processo di personalizzazione del tempio Paolo lo esprime con il linguaggio liturgico che diventa così il terreno naturale dove si svolge la vita cristiana. Fatico a trovare sulle labbra dei tuoi confratelli quel linguaggio che trovo nel ministero apostolico dell’Apostolo: egli vive la sua vita come un culto che “presta a Dio nello Spirito” (cf Rm 1,9).

Se vai a leggerti la lettera alla comunità di Filippi, scopri che il suo è un sacrificio che si realizza in lui a vantaggio della vita dei Filippesi. Vita di fede che è denominata “thysia kai leitourgia”, ossia offerta sacrificale e attività liturgica” (cf Fil 2,17)

Per Paolo l’attività liturgica è ad ampio spettro. Per lui

• Attività liturgica è la raccolta di fondi per la comunità di Gerusalemme;
• Attività liturgica è l’incarico di Epafrodito, inviato dai Filippesi per assisterlo nei disagi della sua prigionia, prestandogli umili servizi. Anche lui è denominato “protagonista di un’azione liturgica)

Ti renderai conti che l’hospitalitas letta in questa prospettiva è una liturgia che va vissuta nel ruolo di protagonisti, non delegabile a nessuno, come non posso delegare di andare a Messa o dal dottore al mio posto.
• Posso allargare l’adesione all’assemblea liturgica della carità operosa ma non rifiutare l’invito, adducendo le scuse elencate nella parabola.
• Posso coinvolgere i laici ma non abdicare.

Nel capitolo 12 della Lettera ai Romani Paolo invita i cristiani di Roma a presentare a Dio tutti gli aspetti della vita nella sua concretezza: somata, ossia compresi i corpi). Questa vita di offerta, di donazione, di servizio, in conseguenza del battesimo e sotto la guida dello Spirito, è cosa santa e gradita a Dio. Quindi un vero culto che dà un senso alla vita, coinvolgendoci in tutte le nostre risorse. Così recita la vita monastica benedettina: “monaco è colui che veramente cerca Dio, che entra nel monastero alla scuola del servizio del Signore come alla scuola dell’amore, dove, nell’esercizio delle virtù e della fede, il cuore si dilata e la via dei divini precetti viene percorsa nell’indicibile soavità dell ‘amore.”

Tutto ciò sprigiona un “soave odore”, il “buon odore di Cristo”. Il Dr. Micheli passando nei reparti, con il profumo di pipa che lasciava nei corridoi, lal letto dei pazienti emanava anche il “bonus odor Christi”. Paolo sente che tutta la sua vita apostolica è come profumo offerto continuamente a Dio (cf 2Cor 2,14). E qui veniamo a punto dolente: per l’Apostolo persino l’attività burocratica e contabile della raccolta dei fondi per i poveri di Gerusalemme (cf 2 Cor 9,12), viene detta “liturgica”.

Ma guai a fraintendere: non si può andare a Monguzzo, magari celebrare l’Eucaristia e poi passare nella sala del Capitolo per parlare d’altro, finalmente di cose serie, come la “gestione carismatica” dei Centri, dimenticando l’atteggiamento essenziale incluso nella domanda che va posta dopo ogni Eucaristia:

“In questa situazione cosa lo Spirito Santo sta dicendo alla nostra Chiesa (cfr Ap 2,7)?
• E’ il Signore che non chiama?
• Siamo noi che non sentiamo?
• O che non vogliamo rispondere?
• Perché in una Chiesa per tanti versi così vivace non nascono vocazioni?”

Credi forse che, se la questione viene posta in questi termini, non pervenga dall’Alto la risposta?

Ti lascio con la preghiera della gioiosa speranza scritta dal Card. Martini all’inizio della Lettera Pastorale. Per diffondere questi messaggi tra confratelli, collaboratori e assistiti non occorrono né laurea né autorizzazioni né sacerdozio ministeriale, né corsi speciali… Basta la Cresima. Li troverai su internet, e, se vorrai, potrai segnalarli.

Insieme oranti, ti auguro buona giornata.
Caro Fra Luigi -

Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nello spezzare il pane. Mentre stiamo correndo verso Gerusalemme, e il fiato quasi ci manca per l’ansia di arrivare presto, il cuore ci batte forte per un motivo ben più profondo.
Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici. La nostra gioia e il nostro ritorno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pranzo a metà sulla tavola, esprimono la certezza che tu ormai sei con noi. Ci hai incrociati poche ore fa su questa stessa strada, stanchi e delusi. Non ci hai abbandonati a noi stessi e alla nostra disperazione. Ci hai inquietati con i tuoi rimproveri. Ma soprattutto sei entrato dentro di noi. Ci hai svelato il segreto di Dio su di te, nascosto nelle pagine della Scrittura. Hai camminato con noi, come un amico paziente. Hai suggellato l’amicizia spezzando con noi il pane, hai acceso il nostro cuore perché riconoscessimo in te il Messia, il Salvatore di tutti. Così facendo, sei entrato dentro di noi.
Quando, sul far della sera, tu avevi accennato a proseguire il tuo cammino oltre Emmaus, noi ti pregammo di restare.
Ti rivolgeremo questa preghiera, spontanea e appassionata, infinite altre volte nella sera del nostro smarrimento, del nostro dolore, del nostro immenso desiderio di te. Ma ora comprendiamo che essa non raggiunge la verità ultima del nostro rapporto con te. Infatti tu sei sempre con noi. Siamo noi, invece, che non sempre restiamo con te, non dimoriamo in te. Per questo non sappiamo diventare la tua presenza accanto ai fratelli.
Per questo, o Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiutarci a restare sempre con te, ad aderire alla tua persona con tutto l’ardore del nostro cuore, ad assumerci con gioia la missione che tu ci affidi: continuare la tua presenza, essere vangelo della tua risurrezione.
Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle speranze fallite, della tomba desolata. Essa è la città della Cena, della Pasqua, della suprema fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo lungo le strade di tutto il mondo per essere testimoni della tua risurrezione.

  • A tutti i cercatori del tuo volto mostrati, Signore;
  • a tutti i pellegrini dell’assoluto, vieni incontro, Signore;
  • con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare cammina Signore;
  • affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus;
  • e non offenderti se essi non sanno che sei tu ad andare con loro, tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori;
  • non sanno che ti portano dentro: con loro fermati poiché si fa sera e la notte è buia e lunga, Signore. Aman.
  • paoloeilkerigmav10p050.jpg

    DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI 24, 5 ss.
    1Cinque giorni dopo, Ananìa, il sommo sacerdote, arrivò con alcuni capi del popolo e un avvocato che si chiamava Tertullo. Si presentarono al governatore Felice per dichiarare le loro accuse contro Paolo. 2Fu chiamato anche lui.
    Poi Tertullo cominciò la sua accusa dicendo: « Per merito tuo, eccellentissimo Felice, noi godiamo di una lunga pace. Tu hai provveduto a concedere a questa nazione alcune riforme. 3Noi accogliamo tutto ciò con la più profonda gratitudine. 4Ma non ti voglio far perdere troppo tempo; perciò ti prego di ascoltare, nella tua bontà, quel che brevemente abbiamo da dirti.
    5″Quest’uomo, secondo noi, è estremamente pericoloso. Egli è capo del gruppo dei nazirei, e provoca disordini dappertutto tra gli Ebrei sparsi nel mondo. 6Ha tentato perfino di profanare il Tempio, noi l’abbiamo arrestato. ( 7) 8Se tu lo interroghi potrai accertarti di tutte queste cose delle quali noi lo accusiamo ».
    9Anche gli Ebrei appoggiarono l’accusa di Tertullo e dissero che i fatti stavano proprio così.

    Paolo si difende davanti al governatore Felice
    10Il governatore fece un cenno a Paolo di parlare. Allora egli cominciò a dire: « So che da molti anni sei giudice di questo popolo. Perciò con fiducia parlerò in mia difesa. 11Sono venuto a Gerusalemme appena dodici giorni fa, per pregare nel Tempio; è un fatto questo che tu stesso puoi controllare. 12Gli Ebrei non mi hanno mai trovato nel Tempio a discutere con qualcuno o a mettere confusione tra la folla. Neppure nelle sinagoghe o per la città. 13Essi non possono dimostrare le accuse che ora lanciano contro di me. 14Ma ti dichiaro questo: io seguo quella nuova dottrina che essi considerano falsa. Io però riconosco e servo solo il Dio dei nostri padri e accetto tutto quel che è scritto nella Legge di Mosè e nei libri dei profeti. 15Come loro, io ho questa sicura speranza nel Signore: che tutti gli uomini, sia buoni che malvagi, risorgeranno dai morti. 16Per questo cerco anch’io di conservare sempre una coscienza pura dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.
    17″Ora, dopo molti anni, sono tornato per portare degli aiuti al mio popolo e per offrire sacrifici. 18Proprio durante questi riti, gli Ebrei mi hanno trovato nel Tempio: stavo partecipando alla cerimonia della purificazione e non c’era folla né agitazione di popolo. 19C’erano però alcuni Ebrei della provincia d’Asia: questi sì dovrebbero essere qui davanti a te per accusarmi se proprio hanno qualcosa contro di me. 20Oppure, lo dicano quelli che sono qui ora, se hanno trovato in me qualche colpa quando sono stato portato al tribunale ebraico. 21L’unica cosa che potrebbero dire è, che una volta, stando in mezzo a loro, io gridai: Oggi, io vengo processato davanti a voi perché credo nella risurrezione dei morti ».
    22Felice era molto ben informato sulla fede cristiana; perciò mandò via gli accusatori di Paolo dicendo: « Quando verrà il comandante Lisia, allora esaminerò il vostro caso ».
    23Poi ordinò al capo dei soldati di fare la guardia a Paolo e di concedergli una certa libertà. Tutti gli amici di Paolo potevano andare da lui per aiutarlo.

    Paolo in carcere si incontra con Felice e Drusilla
    24Alcuni giorni dopo, Felice fece chiamare Paolo per sentirlo parlare della fede in Cristo Gesù: era presente anche sua moglie, Drusilla che era ebrea. 25Ma quando Paolo cominciò a parlare del giusto modo di vivere, del dovere di dominare gli istinti e del giudizio futuro di Dio, Felice si spaventò e disse: « Basta, per ora puoi andare. Quando avrò tempo ti farò richiamare ». 26Intanto sperava di poter ricevere da Paolo un po’ di soldi: per questo lo faceva chiamare abbastanza spesso e parlava con lui.
    27Trascorsero così due anni. Poi al posto di Felice venne Porcio Festo. Ma Felice voleva fare un altro favore agli Ebrei, e lasciò Paolo in prigione.

    25 – PAOLO FA RICORSO ALL’IMPERATORE
    1Il governatore Festo, dunque, arrivò nella sua provincia e dopo tre giorni salì dalla città di Cesarèa a Gerusalemme.
    2Subito vennero da lui i capi dei sacerdoti e i capi degli Ebrei e presentarono le loro accuse contro Paolo. Con molta insistenza, 3per l’odio che avevano contro Paolo, chiesero a Festo il favore di farlo condurre a Gerusalemme. Stavano infatti preparando un tranello per ammazzarlo durante il viaggio.
    4Ma Festo rispose: « Paolo deve restare in prigione a Cesarèa. Anch’io vi tornerò presto. 5Quelli tra voi che hanno autorità vengano con me a Cesarèa, e se quest’uomo è colpevole di qualche cosa, là lo potranno accusare ».
    6Festo rimase a Gerusalemme ancora otto o dieci giorni, poi ritornò a Cesarèa. Il giorno dopo aprì il processo e fece portare Paolo in tribunale.
    7Appena arrivò, gli Ebrei venuti da Gerusalemme lo circondarono e lanciarono contro di lui molte gravi accuse. Essi però non erano capaci di provarle.
    8Paolo allora parlò in sua difesa e disse:
    - Io non ho fatto niente di male: né contro la Legge degli Ebrei, né contro il Tempio e neppure contro l’imperatore romano.
    9Festo però voleva fare un favore agli Ebrei; perciò domandò a Paolo:
    - Accetti di andare a Gerusalemme? Il processo per queste accuse potrebbe essere fatto là, davanti a me.
    10Ma Paolo rispose:
    - Mi trovo davanti al tribunale dell’imperatore: qui devo essere processato. Io non ho fatto nessun torto agli Ebrei e tu lo sai molto bene. 11Se dunque sono colpevole e ho fatto qualcosa che merita la morte, io non rifiuto di morire. Ma se non c’è niente di vero nelle accuse che questa gente lancia contro di me, nessuno ha potere di consegnarmi a loro. Io faccio ricorso all’imperatore.
    12Allora Festo si consultò con i suoi consiglieri. Poi decise:
    - Tu hai fatto ricorso all’imperatore e dall’imperatore andrai.

    Paolo dinanzi al re Agrippa e a Berenìce
    13Alcuni giorni dopo il re Agrippa e sua sorella Berenìce arrivarono a Cesarèa per salutare Festo. 14Siccome si fermarono parecchi giorni, Festo raccontò al re il caso di Paolo. Gli disse:
    « Il governatore Felice mi ha lasciato qui un prigioniero. 15Quando io mi trovavo a Gerusalemme vennero da me i capi dei sacerdoti e i capi degli Ebrei per accusarlo e mi domandarono di condannarlo. 16Risposi loro che i Romani non hanno l’abitudine di condannare un uomo prima che egli abbia la possibilità di difendersi davanti ai suoi accusatori. 17I capi dei sacerdoti e i capi degli Ebrei vennero dunque qui da me, e io, senza perder tempo, il giorno dopo cominciai il processo e vi feci condurre anche Paolo. 18Quelli che lo accusavano si misero attorno a lui, e io pensavo che lo avrebbero accusato di alcuni delitti. Invece no: 19si trattava solo di questioni che riguardano la loro religione e un certo Gesù, che è morto, mentre Paolo sosteneva che è ancora vivo. 20Di fronte a un caso come questo io non sapevo che decisione prendere; perciò domandai a Paolo se accettava di andare a Gerusalemme e di essere processato in quella città. 21Ma Paolo fece ricorso e volle che la sua causa fosse riservata all’imperatore. Allora ho comandato di tenerlo in prigione fino a quando non potrò mandarlo all’imperatore ».
    22A questo punto il re Agrippa disse al governatore Festo:
    - Avrei piacere anch’io di ascoltare quest’uomo!
    E Festo gli rispose:
    - Domani lo potrai ascoltare.
    23Il giorno dopo, Agrippa e Berenìce arrivarono con grande seguito ed entrarono nell’aula delle udienze, accompagnati dai comandanti e dai cittadini più importanti.
    Festo fece venire Paolo 24e disse:
    - Re Agrippa e voi cittadini tutti, qui presenti con noi: questo è l’uomo per il quale il popolo degli Ebrei si è rivolto a me a Gerusalemme e in questa città. Essi pretendono di farlo morire; 25io invece mi sono convinto che egli non ha commesso niente che meriti la condanna a morte. Ora egli ha fatto ricorso all’imperatore e io ho deciso di mandarlo a lui. 26Sul suo caso però non ho nulla di preciso da scrivere all’imperatore. Perciò ho voluto condurlo qui davanti a voi e specialmente davanti a te, re Agrippa, per avere, dopo questa udienza, qualcosa da scrivere all’imperatore. 27Mi sembra assurdo infatti mandare a Roma un prigioniero senza indicare le accuse che si fanno contro di lui.

    26 – PAOLO SI DIFENDE DI FRONTE AD AGRIPPA
    1Il re Agrippa disse a Paolo:
    - Ora tu puoi difenderti. Allora Paolo fece un cenno con la mano e si difese così:
    2″Sono contento, o re Agrippa, di potermi difendere oggi, davanti a te, di tutte le accuse che gli Ebrei lanciano contro di me. 3So che tu conosci molto bene le usanze e le questioni religiose degli Ebrei. Ti prego dunque di ascoltarmi con pazienza.
    4″Tutti gli Ebrei sono al corrente della mia vita: fin da quando ero ragazzo ho vissuto tra il mio popolo, a Gerusalemme. 5E tutti sanno anche, da molto tempo, che io ero fariseo e vivevo nel gruppo più rigoroso della nostra religione. Se vogliono, essi lo possono testimoniare. 6Ora invece mi trovo sotto processo, perché spero nella promessa che Dio ha fatto ai nostri padri. 7Anche le dodici tribù del nostro popolo servono Dio con perseveranza giorno e notte, perché sperano di vedere realizzata questa promessa. Proprio per questa speranza, o re, io sono accusato dagli Ebrei. 8Perché ritenete assurdo che Dio faccia ritornare i morti alla vita?
    9″Anch’io una volta credevo di dover combattere contro Gesù, il Nazareno, 10ed è quello che ho fatto in Gerusalemme. I capi dei sacerdoti mi avevano dato un potere speciale, e io gettai in prigione molti cristiani. E quando essi venivano condannati a morte, anch’io votavo contro di loro. 11Spesso andavo da una sinagoga all’altra per costringerli con torture a bestemmiare. Ero crudele contro i cristiani senza alcun riguardo, e li perseguitavo anche nelle città straniere.
    12″Un giorno però stavo andando a Damasco: i capi dei sacerdoti mi avevano autorizzato, dandomi pieni poteri. 13Durante il viaggio, o re Agrippa, io vidi, in pieno giorno, una luce che scendeva dal cielo e sfolgorava intorno a me e a quelli che mi accompagnavano: era più forte del sole. 14Tutti cademmo a terra, e io sentii una voce in ebraico che diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Perché ti rivolti come fa un animale quando il suo padrone lo pungola?
    15″Io domandai: Chi sei Signore?

    « Allora il Signore rispose: Io sono Gesù, quello che tu perseguiti. 16Ma ora àlzati e sta’ in piedi. Io ti sono apparso per fare di te un mio servitore. Tu mi renderai testimonianza dicendo quello che hai visto oggi e proclamando quello che ti rivelerò ancora. 17Io ti libererò da tutti i pericoli, quando ti manderò dagli Ebrei e dai pagani. 18Andrai da loro per aprire i loro occhi, per farli passare dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio. Quelli che crederanno in me riceveranno il perdono dei loro peccati e faranno parte del mio popolo santo.
    19″Perciò, o re Agrippa, io non ho disubbidito a questa apparizione celeste, 20ma mi sono messo a predicare prima agli abitanti di Damasco e di Gerusalemme, poi a quelli della provincia della Giudea e anche ai pagani. A tutti dicevo di cambiar vita e di ritornare all’unico Dio mostrando con le azioni la sincerità della loro conversione. 21Questo è il motivo per il quale gli Ebrei mi arrestarono mentre ero nel Tempio e tentarono di uccidermi. 22Ma Dio mi ha dato il suo aiuto fino ad oggi: per questo sono testimone di Cristo davanti a tutti, piccoli e grandi. Io dico soltanto quello che gli scritti dei profeti e la Legge di Mosè avevano previsto per il futuro: 23e cioè che il Messia doveva soffrire, che doveva essere il primo a risuscitare dai morti, e che doveva portare al popolo di Israele e ai pagani una luminosa speranza ».

    Paolo invita il re Agrippa a credere
    24Mentre Paolo parlava così per difendersi, il governatore Festo disse ad alta voce:
    - Tu sei pazzo, Paolo! Hai studiato troppo e sei diventato matto!
    25Ma Paolo gli rispose:
    - Io non sono pazzo, eccellentissimo Festo; sto dicendo cose vere e ragionevoli. 26Il re Agrippa conosce bene queste cose e a lui posso parlare con franchezza. I fatti dei quali sto parlando non sono accaduti in segreto: per questo io penso che egli li conosce tutti. 27Re Agrippa, credi alle promesse dei profeti? Io so che tu ci credi!
    28Agrippa allora rispose a Paolo:
    - Ancora un po’ e tu mi convincerai a farmi cristiano.
    29Paolo gli disse:
    - Io non so quanto manca alla tua conversione. Vorrei però chiedere a Dio che non solo tu, ma tutti quelli che oggi mi ascoltano diventino simili a me, tranne ovviamente per queste catene.
    30Allora il re Agrippa si alzò e con lui anche il governatore Festo, Berenìce e tutti quelli che avevano partecipato alla seduta. 31Mentre si allontanavano parlavano insieme e dicevano: « Quest’uomo non ha fatto niente che meriti la morte o la prigione ». Agrippa disse a Festo: « Se non avesse fatto ricorso all’imperatore, quest’uomo poteva essere liberato ».

    27 INIZIA IL VIAGGIO DI PAOLO VERSO ROMA

    Quando decisero di farci partire per l’Italia, consegnarono Paolo e alcuni altri prigionieri a un ufficiale, un certo Giulio, che apparteneva al reggimento imperiale. 2Salimmo a bordo di una nave della città di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d’Asia, e si partì. C’era con noi Aristarco, un cittadino macédone, originario di Tessalonica. 3Il giorno seguente arrivammo nella città di Sidone; qui Giulio gentilmente permise a Paolo di andare a trovare i suoi amici che lo ospitarono e lo circondarono di premure.
    4Poi partimmo da Sidone. Il vento soffiava in senso contrario e noi allora navigammo al riparo dell’isola di Cipro. 5Costeggiammo la Cilicia e la Panfilia e arrivammo alla città di Mira, nella regione della Licia.
    6Qui l’ufficiale Giulio trovò una nave di Alessandria diretta verso l’Italia e ci fece salire su di essa. 7Navigammo lentamente per molti giorni, e solo a gran fatica arrivammo all’altezza della città di Cnido. Ma il vento non ci era favorevole; perciò navigammo al riparo dell’isola di Creta, presso capo Salmòne. 8Con molta difficoltà ci fu possibile costeggiare l’isola e finalmente arrivammo a una località chiamata « Buoni Porti », vicino alla città di Laséa.
    9Avevamo perso molto tempo. Era già passato anche il periodo del digiuno ebraico d’autunno, ed era ormai pericoloso continuare la navigazione. Paolo l’aveva fatto notare, dicendo ai marinai: 10″Io vedo che questo viaggio sta diventando molto pericoloso, non soltanto per la nave e il carico ma anche per tutti noi che rischiamo di perdere la vita ». 11Ma Giulio, l’ufficiale romano, dette ascolto al parere del pilota e del padrone della nave e non alle parole di Paolo. 12D’altra parte, la località di « Buoni Porti » era poco adatta per passarvi l’inverno: perciò la maggior parte dei passeggeri decise di ripartire per raggiungere possibilmente Fenice, porto di Creta, aperto a sud-ovest: là si poteva passare l’inverno.

    La tempesta e il naufragio
    13Intanto si alzò un leggero vento del sud, ed essi credettero di poter realizzare il loro progetto. Levarono le ancore e ripresero a navigare, tenendosi il più possibile vicino alle coste dell’isola di Creta. 14Ma subito si scatenò sull’isola un vento impetuoso, detto Euroaquilone 15La nave fu travolta dalla bufera: era impossibile resistere al vento, e perciò ci lasciavamo portare alla deriva.
    16Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a prendere la scialuppa di salvataggio. 17I marinai la tirarono a bordo e con gli attrezzi cominciarono a legare la struttura della nave per renderla più forte. Poi, per paura di andare a finire sui banchi di sabbia della Libia, i marinai gettarono l’ancora galleggiante e così si andava alla deriva.
    18La tempesta continuava a sbatterci qua e là con violenza: perciò, il giorno dopo, si cominciò a gettare in mare il carico. 19Il terzo giorno, i marinai stessi scaricarono con le loro mani anche gli attrezzi della nave. 20Per parecchi giorni non si riuscì a vedere né il sole né le stelle, e la tempesta continuava sempre più forte. Ogni speranza di salvarci era ormai perduta per noi.
    21Da molto tempo nessuno più mangiava. Allora Paolo si alzò in mezzo ai passeggeri e disse: « Amici, se mi davate ascolto e non partivamo da Creta, avremmo evitato questo pericolo e questo danno. 22Ora però vi raccomando di avere coraggio. Soltanto la nave andrà perduta: ma nessuno di noi morirà. 23Questa notte, infatti, mi è apparso un angelo di quel Dio che io servo e al quale io appartengo. 24Egli mi ha detto: « Non temere, Paolo! Tu dovrai comparire davanti all’imperatore e Dio, nella sua bontà, ti dona anche la vita dei tuoi compagni di viaggio ». 25Perciò fatevi coraggio, amici! Ho fiducia in Dio: sono sicuro che accadrà come mi è stato detto. 26Andremo a finire su qualche isola ».

    27Da due settimane noi ci trovavamo alla deriva nel mare Mediterraneo quand’ecco, verso mezzanotte, i marinai ebbero l’impressione di trovarsi vicino a terra. 28Gettarono lo scandaglio e misurarono circa quaranta metri di profondità. Un po’ più avanti provarono di nuovo e misurarono circa trenta metri di profondità. 29Allora, per paura di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, e aspettarono con ansia la prima luce del giorno. 30Ma i marinai cercavano di fuggire dalla nave: per questo stavano calando in mare la scialuppa di salvataggio, col pretesto di gettare le ancore da prora. 31Allora Paolo disse all’ufficiale e ai soldati: « Se i marinai non restano sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo ». 32Subito i soldati tagliarono le corde che sostenevano la scialuppa di salvataggio e la lasciarono cadere in mare.
    33Nell’attesa che spuntasse il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo. Diceva: « Da due settimane vivete sotto questo incubo senza mangiare. 34Per questo vi prego di mangiare: dovete farlo, se volete mettervi in salvo. Nessuno di voi perderà neppure un capello ».
    35Dopo queste parole Paolo prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e incominciò a mangiare. 36Tutti si sentirono incoraggiati e si misero a mangiare anche loro. 37Sulla nave vi erano in tutto duecentosettantasei persone. 38Quando tutti ebbero mangiato a sufficienza, gettarono in mare il frumento per alleggerire la nave.

    Il naufragio
    39Spuntò il giorno, ma i marinai non riconobbero la terra alla quale ci eravamo avvicinati. Videro però un’insenatura che aveva una spiaggia e decisero di fare il possibile per spingervi la nave. 40Staccarono le ancore e le abbandonarono in mare. Nello stesso tempo slegarono le corde dei timoni, spiegarono al vento la vela principale e così poterono muoversi verso la spiaggia. 41Ma andarono a sbattere contro un banco di sabbia, e la nave si incagliò. Mentre la prua, incastrata sul fondo, rimaneva immobile, la poppa invece minacciava di sfasciarsi sotto i colpi delle onde.
    42I soldati allora pensarono di uccidere i prigionieri: avevano paura che fuggissero gettandosi in mare. 43Ma l’ufficiale voleva salvare Paolo e perciò impedì loro di attuare questo progetto. Anzi, comandò a quelli capaci di nuotare di gettarsi per primi in acqua per raggiungere la terra. 44Gli altri fecero lo stesso, aiutandosi con tavole di legno e rottami della nave. In questa maniera tutti arrivarono a terra sani e salvi.

    28 – PAOLO NELL’ISOLA DI MALTA

    Dopo essere scampati al pericolo, venimmo a sapere che quell’isola si chiamava Malta. 2I suoi abitanti ci trattarono con gentilezza: siccome si era messo a piovere e faceva freddo, essi ci radunarono tutti intorno a un gran fuoco che avevano acceso.
    3Anche Paolo raccolse un fascio di rami per gettarlo nel fuoco; ma ecco che una vipera, a causa del calore, saltò fuori e si attaccò alla sua mano. 4La gente del luogo, come vide la vipera che pendeva dalla mano di Paolo, diceva fra sé: « Certamente questo uomo è un assassino: infatti si è salvato dal mare, ma ora la giustizia di Dio non lo lascia più vivere ».
    5Ma Paolo, con un colpo, gettò la vipera nel fuoco e non ne ebbe alcun male. 6La gente invece si aspettava che la mano di Paolo si gonfiasse, oppure che Paolo cadesse a terra morto sul colpo. Aspettarono un bel po’, ma alla fine dovettero costatare che Paolo non aveva alcun male. Allora cambiarono parere e dicevano: « Questo uomo è un dio ».
    7Vicino a quel luogo, aveva i suoi possedimenti il governatore dell’isola, un certo Publio. Egli ci accolse e ci ospitò per tre giorni con grande cortesia.
    8Un giorno il padre di Publio si ammalò di dissenteria ed era a letto con febbre alta. Paolo andò a visitarlo: pregò, stese le mani su lui e lo guarì. 9Dopo questo fatto, anche gli altri abitanti dell’isola che erano ammalati, vennero da Paolo e furono guariti. 10I maltesi perciò ci trattarono con grandi onori, e al momento della nostra partenza ci diedero tutto quello che era necessario per il viaggio.

    Paolo arriva a Roma11Dopo tre mesi ci imbarcammo su una nave della città di Alessandria che aveva passato l’inverno in quell’isola. La nave si chiamava « I Diòscuri ». 12Arrivammo a Siracusa e qui rimanemmo tre giorni. 13Poi, navigando lungo la costa, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò il vento del sud e così in due giorni potemmo arrivare a Pozzuoli. 14Qui trovammo alcuni cristiani che ci invitarono a restare una settimana con loro. Infine partimmo per Roma. 15I cristiani di Roma furono avvertiti del nostro arrivo e ci vennero incontro fino al Foro Appio e alle Tre Taverne. Appena li vide, Paolo ringraziò il Signore e si sentì molto incoraggiato.
    16Arrivati a Roma, fu permesso a Paolo di abitare per suo conto, con un soldato di guardia.

    Paolo predica a Roma17Dopo tre giorni, Paolo fece chiamare i capi degli Ebrei di Roma. Quando furono riuniti disse loro:
    - Fratelli, io non ho fatto nulla contro il nostro popolo e le tradizioni dei padri. Eppure a Gerusalemme gli Ebrei mi hanno arrestato e mi hanno consegnato ai Romani. 18I Romani mi hanno interrogato e volevano lasciarmi libero perché non trovavano in me nessuna colpa che meritasse la morte. 19Ma gli Ebrei si sono opposti a questa decisione, e allora sono stato costretto a fare ricorso all’imperatore. Io però non ho alcuna intenzione di portare accuse contro il mio popolo. 20Per questo motivo ho chiesto di vedervi e di parlarvi. Infatti io porto queste catene a causa di colui che il popolo di Israele ha sempre aspettato.
    21Gli risposero:
    - Noi non abbiamo ricevuto dalla Giudea nessuna lettera che ti riguarda, e nessuno dei nostri fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22Tuttavia, noi vorremmo ascoltare da te quel che pensi: perché abbiamo saputo che la setta alla quale tu appartieni, un po’ dappertutto trova delle opposizioni.
    23Poi si diedero un appuntamento.
    Nel giorno fissato, vennero nell’alloggio di Paolo ancor più numerosi. Dal mattino fino alla sera Paolo dava spiegazioni e annunziava loro il regno di Dio. Partendo dalla legge di Mosè e dagli scritti dei profeti, Paolo cercava di convincerli a credere in Gesù. 24Alcuni si lasciarono convincere dalle parole di Paolo, altri invece non vollero credere. 25Senza essere d’accordo tra loro, se ne andavano via mentre Paolo aggiungeva soltanto queste parole: « Lo Spirito Santo aveva ragione quando, per mezzo del profeta Isaia, disse ai vostri padri:
    26Va’ da questo popolo e parlagli così:
    Ascolterete e non capirete;
    guarderete e non vedrete
    27perché il cuore di questo popolo
    è diventato insensibile:
    sono diventati duri d’orecchi,
    hanno chiuso gli occhi,
    per non vedere con gli occhi,
    per non sentire con gli orecchi,
    per non comprendere con il cuore,
    per non tornare a Dio,
    per non lasciarsi guarire da lui ».
    28Poi Paolo aggiunse: « Sappiate che questa salvezza Dio ora l’ha rivolta ai pagani, ed essi l’accoglieranno ». 29
    30Paolo rimase due anni interi nella casa che aveva preso in affitto, e riceveva tutti quelli che andavano da lui. 31Egli annunziava il regno di Dio e insegnava tutto quello che riguarda il Signore Gesù Cristo con grande coraggio e senza essere ostacolato.

    CARO ANGELO – Don Enrico Ghezzi 02.09.2009

    Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 2 janvier, 2009 @ 5:42

    sangiovannididiosamaritanoimmagine11.png 

    Caro Angelo, 

                           ho letto l’impegno sul tuo ‘blog’ per il libro su Giovanni.

    Il 5 marzo, invitato dal superiore dell’Isola Tiberina, nella celebrazione dei Vespri, parlerò di s. Giovanni di Dio, per la prossima festa. Sono passati più di 40 anni.

    Un’emozione nel tuffo della nostra adolescenza, nella primavera giovanile, che – nonostante tutto – non vuol morire. Quante persone ci hanno accompagnati in quegli anni: una sfida perenne tra bene e male, tra luce e tenebre, come scrive Giovanni:  ma quanti ricordi di gente santa! E’ la frammistione della storia: alla fine, vincerà la luce. 

    Questa sera, inizio una serie di incontri biblici, sul cammino dei nostri padri, nella fede: fino a Pasqua, leggeremo la prima lettura delle domeiche di Quaresima; questa sera la prima ‘alleanza’ con Noè. 


    Sommersi nel ‘diluvio‘ delle angosce umane e quotidiane, e poi ‘emersi’ dalle acque perché Dio si pente di aver castigato l’umanità:  ’l'arco baleno’  è il raggio di luce che parte dal cuore di Dio e raggiunge la nostra anima; Gesù è l’arco della luce in cui siamo salvati. Se riuscirò, ti manderò la sintesi delle mie riflessioni. 

    Ti saluto.
                                                              don Enrico Ghezzi.

    arcobalenodilucapolorainbow28lug2000abete.jpg

    Testo biblico: GENESI capitolo nono

    « Poi Dio benedisse Noé e i suoi figli, e disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le fiere della terra e in tutti gli uccelli del cielo. Tutto ciò che striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono dati in vostro potere. Ogni rettile che ha vita sarà vostro cibo; tutto questo vi dò, come già le verdi erbe.

    Soltanto non mangerete la carne che ha in sé il suo sangue. Certamente del sangue vostro, ossia della vita vostra, io domanderò conto: ne domanderò conto ad ogni essere vivente; della vita dell’uomo io domanderò conto all’uomo e a ognuno di suo fratello!

    Chi sparge il sangue di un uomo, per mezzo di un uomo il suo sangue sarà sparso; perché quale immagine di Dio ha Egli fatto l’uomo. Quanto a voi, siate fecondi e moltiplicatevi; brulicate sulla terra e soggiogatela ».

    Poi Dio disse a Noé e ai suoi figli:  » Quanto a me, ecco che io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, e con ogni essere vivente che è con voi: con gli uccelli, con il bestiame e con tutte le fiere della terra che sono con voi, da tutti gli animali che sono usciti dall’arca a tutte le fiere della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: nessun vivente sarà più distrutto a causa delle acque del diluvio, né più verrà il diluvio a devastare la terra ».

    Poi Dio disse: « Questo è il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future: io pongo il mio arco nelle nubi, ed esso sarà un segno di alleanza fra me e la terra.

    E quando io radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, allora mi ricorderò della mia alleanza, che è tra me e voi e ogni essere vivente in qualsiasi carne: le acque non diverranno mai più un diluvio per distruggere ogni carne. L’arco apparirà nelle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere vivente in ogni carne che è sulla terra ».

    Poi Dio disse a Noé: « Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra ».

    NOÉ E I SUOI FIGLI

    « I figli di Noé che uscirono dall’arca furono: Sem, Cam e Iafet; e Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noé, e da questi fu popolata tutta la terra. Noé incominciò a fare l’agricoltore e piantò una vigna. Bevuto del vino, si inebriò e si scoperse in mezzo alla sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e uscì a dirlo ai suoi due fratelli. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero ambedue sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono la nudità del loro padre: e siccome avevano le loro facce rivolte dalla parte opposta, non videro il padre scoperto.
    Quando Noé, risvegliatosi dalla sua ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore, disse: ‘Sia maledetto Canaan! Sia schiavo infimo dei fratelli suoi! ».

    Disse poi: « Benedetto sia il Signore, Dio di Sem! Ma sia Canaan suo schiavo! Dio dilati Iafet e dimori nelle tende di Sem! Ma sia Canaan suo schiavo! ».

    E Noé visse, dopo il diluvio, trecentocinquanta anni. E l’intera vita di Noé fu di novecentocinquanta anni, poi morì ».

    CARO FRA MARCO ti scrivo…PER COSTRUIRE UNA SOCIETA’ CHE NON ESISTE ANCORA – Angelo Nocent

    Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 24 janvier, 2016 @ 9:09

    San Giovanni di Dio - Opere di misericordia spirituali

     



    046-Fra MarcoCaro Fra Marco Fabello o.h.,
      così scrivevi su Facebook agli amici il 17 Luglio 2016, all’appuntamento notturno:

     

    « Una nuova settimana si apre di fronte a noi. Sarà di pace? 

    - In Turchia si parla di pena di morte per molte persone.

    - Molti altri moriranno nel mediterraneo.

    - Migliaia di bambini non vedranno la luce perché condannati dalla     legge!

    - Tanta meraviglia per i primi, diritto di condanna per i piccoli    innocenti.

    - Quale la differenza?

    Mi e’ molto difficile pensare quale sia. A me pare di concludere che non ci sarà pace finché non ci sarà vittoria sulla morte e scelta di vita. E non posso pensare che vi siano leggi di morte. E la notte sia serena.


    Michie e Angelo Nocent

     Ho riflettuto un po’ e m’è venuto di risponderti con una CARTOLINA ma poi non l’ho fatto, per evitare eventuali malintesi, più che con te, con gli altri amici. Ora ho pensato di farlo qui dove non passano molte persone. Una specie di parcheggio per parlare tra me e me. 


    « Caro Fra Marco,

    è notte, e sappiamo che porta consiglio, quando lo Spirito è invocato. Fare le previsioni del TEMPO è relativamente facile. Gioco d’azzardo è tentare le previsioni degli UMORI DEL MONDO, attento e concentrato più sulla BORSA  e sui MERCATI che sui problemi esistenziali del Pianeta.

    Noi cristiani continuiamo a rileggere la parabola del SAMARITANO. Ma, visto che ormai conosciamo a memoria le sue conclusioni, rischiamo di dare tutto per scontato, senza lasciarci provocare: « Cosa ci posso fare se il mondo è così malvagio? ». Ma lo Spirito, che ci precede, non smette di stupirci e ci spinge a SUSCITARE DOMANDE. Perché la parabola non prospetta soluzioni contro il brigantaggio ma si limita a indicare come comportarsi con il malcapitati, senza distinzioni, compreso i fuori di testa come potrebbero essere i terroristi feriti!

    Gesù alle domande che ritornano ossessivamente nell’Europa di oggi, ma anche nel Mondo, non offre una risposta facile. Ma ci sostiene il Salmo 34: « Guardate a Lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti.« !

    • Che obblighi abbiamo verso gli altri?
    • Possiamo fare a meno dei Politici e degli Uomini di Legge?

    Sarebbe bello, ma non abbiamo alternative migliori. Le DOMANDE sono difficilissime e le risposte vanno faticosamente cercate, PER COSTRUIRE UNA SOCIETA’ CHE NON ESISTE ANCORA. Lo so, non farò in tempo a vedere quella nuova. Mi scoraggia? Beh! Sono suggestionabile come tutti. Ma il VERBO si è fatto CARNE, UOMO, proprio per questo, no? E soltanto 2000 anni fa. Noi si vorrebbe tutto e subito. Ma la fretta non paga. La natura non fa salti, ci sono le stagioni. E la fretta non paga.

    Ciò che la parabola mi chiede di fare è di CAMBIARE IL MODO DI FARMI CERTE DOMANDE:

    • Come posso diventare PROSSIMO dell’uomo mezzo morto?
    • Come posso scoprire me stesso con lui e per lui?
    • Come faccio a scoprire Dio in questa situazione?


    Siamo chiamati a prendere coscienza che quello che GIACE sul ciglio della strada. lacero e stremato, E’ PROPRIO DIO. E MI STA ASPETTANDO.

    1-Pictures986

     

    Cara Valeria… – Il frate mi ha detto…

    Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 25 janvier, 2009 @ 3:40

    Cara Valeria... - Il frate mi ha detto... dans LETTERE AGLI AMICI camminosantoniodapadovadscn2149
    Cara Valeria,

    Ti ricordo sempre e spero che la tua ascesi continui. Quando hai tempo e voglia, dammi tue notizie. Le tue ultime sono qui:

    http://angulo.unblog.fr/2009/04/12/via-crucis-con-uil-papa-valeria/

    L’Ausiliatrice ti sostenga nel tuo cammino ascensionale.

    Fatti sentire ogni tanto, Mi fa davvero piacere.

    Buona notte.

    Angelo Nocent
    camminogiovanisantantonio.jpg

    Grazie, speravo che tu capissi…

    Per quanto riguarda i miei passi…sono sempre quelli, piccole gocce ma di un importante oceano…

    Ritorno da Padova proprio da poche ore e caldo a parte devo dire che è stato proprio bello.

    Ho fatto l’itinerario antoniano cioè Padova – Arcella (luogo in cui è morto) e Camposampiero, luogo reso importante dalla visione di Gesù bambino e luogo da cui è partito per l’ultima volta per tornare a Padova… luoghi molto semplici ma ricchi di fascino spirituale, e non da meno artistico…

    Mi ero preparata tante cose da dire e da fare ma poi è andato tutto diversamente…
    camminitracciatocamminosantonio.jpg

    S. Antonio raccomandava la confessione e così, sul suo esempio, mi sono abbandonata alla misericordia del Signore. Il frate mi ha detto che l’umiltà è la sola caratteristica che ci rende veri discepoli di Cristo…su imitazione del Padre Francesco… E allora domando che il Signore mi renda attenta a capire la sua volontà e converta il mio cuore alla vera umiltà….

    PS. . Ho visto l’e-mail sul sito e ti volevo ringraziare per le due immagini che hai allegato…in particolare quella del « Santo ». Fantastica!!!

    valery

    camminodisantantonio.jpg

    IMPORTANTI NOTE LOGISTICHE
    Il cammino si snoda attraverso un lungo percorso di 25 Km con strade sterrate e lungo gli argini di un canale. Pertanto è vivamente consigliato avere un equipaggiamento adeguato; ecco l’essenziale: portare scarpe adatte al cammino e un abbigliamento consono, acqua (non ci sono punti di ristoro durante il cammino), un cappellino e k-way in caso di pioggia, una torcia elettrica. Si tenga presente che il pellegrinaggio in notturna, per quanto affascinante, risulta oltremodo più faticoso!! Il ritorno a Camposampiero per chi vi è giunto in macchina, sarà comodo in treno. L’organizzazione è volutamente minima ed essenziale. I frati e i sacerdoti presenti guideranno il cammino e la proposta spirituale.

    cammino2dscn2209 dans LETTERE AGLI AMICI

    CRISTO SIGNORE, PONTEFICE ASSUNTO DI MEZZO AGLI UOMINI

    Classé dans : CHIESA POPOLO DI DIO — 25 janvier, 2009 @ 3:37

    pokrov.jpg 

    Salutiamo voi che, uniti a Gesù Cristo,

    siete diventati il popolo di Dio

    insieme con tutti quelli che, ovunque si trovino,

    invocano il nome di Gesù Cristo, nostro Signore.

    Dio, nostro Padre,

    e Gesù Cristo , nostro Signore,

    diano a voi grazia e pace. (1 Cor 2-3)

     CRISTO SIGNORE, PONTEFICE ASSUNTO DI MEZZO AGLI UOMINI dans CHIESA POPOLO DI DIO vienispiritosanto

    buon2009_pic

    POPOLO DI DIO:

    trinitagiatriadaetzanes.jpg

    Chiamati ad esseresanti insieme

    marianelcenacolocongliapostolirns.jpg

     PERCHE’ ANGULO?

    sangiovannididioilmendicantedigranada.jpgAi tempi di San Giovanni di Dio, c’era un uomo di nome Giovanni d’Avila - da non confondere con il Santo suo direttore spirituale - che, oltre ad essere un caro amico, era diventato l’uomo di fiducia, il suo braccio destro. 

    Egli lo chiamava familiarmente ANGULO.

    Oggi noi lo ricordiamo proprio perché il suo nome  viene ripetutamente menzionato o sott’inteso nelle Lettere.

    « Verrà lì Giovanni d’Avila, che è il mio compagno, benché io lo chiami sempre Angulo: però il suo vero nome è Giovanni d’Avila » (68). Sorella mia molto amata, buona duchessa di Dessa, mandatemi un altro anello o qualsiasi altro vostro monile, affinché abbia che impegnare…(69) (II Lettera alla duchessa di Sessa)

    sangiovannididiofirmaabbreviata.jpg« …Se a Gesù Cristo piacerà togliermi da questa vita presente, lascio qui disposizioni per quando tornerà il mio compagno Angulo, che si è recato a Corte, e lo raccomando a voi, poiché si ritrova assai povero lui e sua moglie! . (16).  (III Lettera alla Duchessa di Sessa).

    Il suo matrimonio con Beatrice De Ayvar fu celebrato all’interno dell’Ospedale il 14 Maggio 1549.

    Il primo suo figlio Giovanni, nacque il 20 Marzo 1550, a soli dodici giorni dalla morte di San Giovanni di Dio; seguirono Filippa nel 1552, Pedro nel 1554 e Alonso nel 1556.

    Vn. M. De Mina, Angulo = Juan de Avila. Prototipo del tranajador cristiano en el primewro Hospital de San Juan de Dios, in « Eermanos Hospitalarios », 163: 110-113, 1991

    nocentangelo431339.jpgUn buon motivo per dedicare ad ANGULO un meritato posto nel web. Ma anche per rinsaldare con il Santo di Granada un’antica alleanza e rinvigorire  passioni giovanili disperse in tutte le latitudini.

    melogranino dans CHIESA POPOLO DI DIO

    Video Apocalisse di San Giovanni

    « Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le … »

    fugisantramonto.jpg

     

    LA CHIESA

    .

    POPOLO DI DIO

    pellegrinocardarcivescovomicheleditorino.jpgLa messa in risalto di Chiesa popolo di Dio viene dal Concilio Vaticano II, (1Cor 2-3) .

    Scriveva il Card. Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino:

    « Non un agglomerato di gente, non una massa di gente che si trova lì per caso. No, ma un popolo che racoglie in sé tutti i batezzati, che hanno in comune qualcosa di profondo, di grande.

    Quando si dice « popolo di Dio » vuol dire che prima di qualsiasi istituzione gerarchica, di qualsiasi differenza, tra preti, vescovi, laici, c’è qualcosa che accomuna tutti i batezzati, tutti i credenti in Cristo, in una unità, in una comunione…

    Tuttavia si tratta di una comunità articolata, non indiferenziata. Non siamo chiamati a fare tutti le stesse cose, tutti allo stesso livello. Una comunità differenziata in cui c’è una distinzione di ministeri…

    E specificava:

    • Un cristianesimo cosciente…
    • Un cristianesimo critico…
    • Cristiani corresponsabili…
    • Essere coerenti…
    • Essere aperti all’uomo…
    • Apertura al mondo…
    • Apertura agl’ultimi…
    • Apertura a Dio.

    Ultima in ordine di tempo, ma non in ordine di importanza. Anzi la dico alla fine, proprio per insistere sull’importanza di questa sigenza. Ho detto: apertura all’uomo, e ora dico apertura a Dio. Del resto, senza l’apertura a Dio non c’è vera e completa apertura ai fratelli ». (Maglie, Lecce , 1979)

    pellegrinoarcivescovo.jpg « Mi commuovo quando penso ai mesi in cui il padre, una volta alla settimana, scendeva lo scalone dell’Arcivescovado, bussava alla porticina d’ingresso della nostra sede, si sedeva con noi attorno al tavolo, nella sacrestia e ci spiegava il Vangelo di Giovanni. Una cinquantina di ragazzi, un registratore e lui, il cardinale, con la paternità e l’affabilità che lo distinguevano, ci educava al gusto della Parola. » (Ernesto Oliviero)

    gesuciecoduccio.jpg781 « In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la sua giustizia.

    Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse.

    Si scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un’alleanza e lo formò progressivamente [...].

    Tutto questo però avvenne in preparazione e in figura di quella nuova e perfetta Alleanza che doveva concludersi in Cristo [...] cioè la Nuova Alleanza nel suo sangue, chiamando gente dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito » 206

    Le caratteristiche del popolo di Dio

    782 Il popolo di Dio presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da tutti i raggruppamenti religiosi, etnici, politici o culturali della storia:

     

    È il popolo di Dio: Dio non appartiene in proprio ad alcun popolo. Ma egli si è acquistato un popolo da coloro che un tempo erano non-popolo: « la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa » (1 Pt 2,9).

     

    — Si diviene membri di questo popolo non per la nascita fisica, ma per la « nascita dall’alto », « dall’acqua e dallo Spirito » (Gv 3,3-5), cioè mediante la fede in Cristo e il Battesimo.

    — Questo popolo ha per Capo Gesù Cristo (Unto, Messia): poiché la medesima unzione, lo Spirito Santo, scorre dal Capo al corpo, esso è « il popolo messianico ».

    — « Questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio ». 207

    — « Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati ». 208 È la legge « nuova » dello Spirito Santo. 209

    — Ha per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo. 210 « Costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza ». 211

    — « E, da ultimo, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento ». 212

    Un popolo sacerdotale, profetico e regale

    783 Gesù Cristo è colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito « Sacerdote, Profeta e Re ». L’intero popolo di Dio partecipa a queste tre funzioni di Cristo e porta le responsabilità di missione e di servizio che ne derivano. 213

    784 Entrando nel popolo di Dio mediante la fede e il Battesimo, si è resi partecipi della vocazione unica di questo popolo, la vocazione sacerdotale: « Cristo Signore, Pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo « un regno e dei sacerdoti per Dio, suo Padre ». Infatti, per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo ». 214

    785 « Il popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo ». Ciò soprattutto per il senso soprannaturale della fede che è di tutto il popolo, laici e gerarchia, quando « aderisce indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi » 215 e ne approfondisce la comprensione e diventa testimone di Cristo in mezzo a questo mondo.

    786 Il popolo di Dio partecipa infine alla funzione regale di Cristo. Cristo esercita la sua regalità attirando a sé tutti gli uomini mediante la sua morte e la sua risurrezione. 216 Cristo, Re e Signore dell’universo, si è fatto il servo di tutti, non essendo « venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti » (Mt 20,28). Per il cristiano « regnare » è « servire » Cristo, 217 soprattutto « nei poveri e nei sofferenti », nei quali la Chiesa riconosce « l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente ». 218 Il popolo di Dio realizza la sua « dignità regale » vivendo conformemente a questa vocazione di servire con Cristo.

    « Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello Spirito Santo sono consacrati sacerdoti. Non c’è quindi solo quel servizio specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani, rivestiti di un carisma spirituale e usando della loro ragione, si riconoscono membra di questa stirpe regale e partecipi della funzione sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un’anima governi il suo corpo in sottomissione a Dio? Non è forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull’altare del proprio cuore i sacrifici immacolati del nostro culto? ». 219

    globulirossicompanynewlogo.jpg

      

    FORUM | BLOG

    cristopantokratorchora4.gif

    melogranino

    GR = a: « …ci educava al gusto

    della Parola.” (Ernesto Oliviero)

    http://www.sangiovannieruggi.it/img/quadro2.jpg

    LA TRADIZIONE: Giovanni evalgelista, Agostino vescovo, Raffaele arcangelo, Giovanni di Dio, Giovanni Grande…

    E ancora: Riccardo, Benedetto, i Martiri della Sagna, Olallo, Eustachio, i Venerabili…alla scuola di Maria, per il momento, la sola donna. Ma quante Marie di Magdala dietro le quinte…!

     

    melograninoChi pensasse alla GLOBULI ROSSI Company come ad una recente fondazione, a un nuovo movimento carismatico, con tanto di fondatore,  prima o poi da mettere sugli altari, si sbaglierebbe.

    Di attuale c’è soltanto poca cosa: il nome, discutibilissimo. Ma i santi, alcuni di vecchia data, altri freschi di nomina,  compreso uno stuolo di martiri, già esistono e tutti  »canonizzati ». Perciò si cammina sul sicuro.

    pampuricopertinabiografiaafumettisanpampuri2.jpgNon c’è merito. Solo la grazia della presa di coscienza di una realtà che esiste almeno da cinque secoli, ma che origina molto, molto prima. A guardar bene, è l’altare dell’Ultima Cena che va dilatandosi a dismisura, fino a raggiungere gli estremi confini della terra.

    C’è voluto poco: è bastato spolverare la cassaforte, lucidare le maniglie, oliare la serratura, riaprirla…e i gioielli son tornati a risplendere, a parlare  al cuore.

    La rivitalizzazione è solo opera dello Spirito che ha ossigenato e rigenera gl’occhi degli osservatori per coinvolgerli nella divina avventura:

     “Et dixit qui sedebat in throno: ecce nova facio omnia” (Ap 21,5).

    melograninoRiccardo è un educatore:

    « …ci educa al gusto della Parola »

     

     

     

    GLOBULI ROSSI VUOL DIRE CADERE DA CAVALLO

    paolopalaconversione324.jpgGR,pur frammento, è Popolo di Dio e perciò stesso Corpo di Cristo.

    Ognuno, religioso o laico, dovrebbe essere animato da quell’amore capace di sacrificare se stesso, che Cristo ha mostrato sulla Croce:

    « Cristo non ha cercato ciò che piaceva a lui » (Rom.15,3 – Sal. 69,10).

    Ognuno ha la sua « via di Damasco ». Ognuno è chiamato a sperimentare la caduta dal cavallo delle umane sicurezze.

    • Alla voce che scende dal Cielo, la domanda che viene spontanea  è sempre la stessa: « Chi sei, o Signore? ».
    • Ed ognuno conserva nel cuore la risposta: « Io sono Gesù…Perché mi persegiti? Su, alzati e rimettiti in piedi ».(Atti: 26, 14-18).
    • Dolcissimo, affettuoso, meritato rimprovero ! 

    Come lo zelante Saulo di Tarso, ognuno possiede le perversioni farisaiche tipiche di colui che si propone come salvezza di se stesso, credendo di essere giunto all’apice della perfezione.

    A riguardo delle perversioni più profonde, la situazione di Paolo, persecutore zelante, è istruttiva.

    Il Card. Martini,  rifacendosi al Vangelo che dice: « I peccatori vi precedono nel Regno di Dio« , ne ricava questo insegnamento:

    « Vuol dire che chi commette dei peccati, ad esempio, si ubriaca o si lascia vincere dalla sensualità, commette peccato, certo, ma è sempre, in qualche modo, conscio di fare il male: ha bisogno di comprensione, di aiuto e dimisericordia per superare la propria debolezza e confessa di essere fragile e debole.

    Ed è questo il peccato che Gesù attacca nei farisei: quella perversione fondamentale per cui l’uomo si fa salvezza di se stesso e, credendo di essere giunto all’apice della perfezzione, giunge alle più gravi aberrazioni della violenza« .

    Di questo male oscuro  patiamo un po’ tutti: sia i consacrati che i laici cristiani.

    GR, nell’anno Paolino, assume il significato di una richiesta all’apostolo  per sapere dove il Signore lo ha portato dopo la caduta da cavallo.

    La risposta di Paolo è nella Lettera ai Filippesi e in quella ai  ai Galati, dove egli ci fa comprendere il significato di questa direzione.

    Noi, un po’ alla volta, in questa analisi dei,testi ci faremo guidare dalle sapienti considerazioni dell’Arcivescovo Martini…

    Vedi anche   SAN PAOLO CADUTO TRE VOLTE – Gianfranco Ravasi

    beatimartirifatebenefratelli90239a.jpg

    http://www.moldrek.com/Immagini/melograno_fiore.jpg

    UNA FEDE ADULTA E PENSATA

    melogranofiore.jpgGR  è un melograno fatto di tanti chicchi che aspirano a maturazione per diventare rossi e succulenti. Un frutto generato da un albero genealogico  ben piantato e solido: Giovanni di Dio, un avventuriero illuminato.

    GR è un invito a riflettere, un modo di pensare, un risveglio, una rinascita, una iniziativa, rimedio alla tentazione di stanchezza e scoraggiamento che si registrano su diversi fronti.  E’ una proposta terapeutica per le anemie spirituali, un’offerta di riconciliazione con se stessi, con la propria sorte, con la propria vita, con la propria salute, con i propri difetti, con il proprio ambiente, con la propria famiglia, con la società, con il proprio lavoro, con la Chiesa . 

    Una compagnia di persone che, da anemiche che erano, una volta  graziate ed amate, si fanno, a loro volta,  per così dire, « donatori di sangue« , portatori di ossigeno nei tessuti asfittici del proprio contesto . Ciò è reso possibile dal sentirsi a proprio agio come figli del Padre, fratelli con i fratelli e sorelle nella società civile ed ecclesiale.

    Ma con una caratteristica anche espressiva: di persone « gioioisamente » graziate ed amate che lo esprimono anche nel saluto: Shalom! . E con il cantico sulle labbra: Magnificat!

    trinitagiatriadaetzanes.jpg

    GR può perfino diventare un ministero della carità misericordiosa, vicendevolmente esercitato. Un percorso di paziente ricostruzione di personalità che, da fragili e inconsistenti, diventano armoniche, capaci di relazioni giuste, con Dio e con il prossimo, col Mistero assoluto, con la propria povertà, con l’ambiente, per meschino che sia, col mondo per torvo e torbido che appaia.

    GR è un modo molto semplice, un clima per recepire l’appartenenza alla Nuova Alleanza che è nuova creazione, nuovo inizio, a partire dalla risurrezione del Crocifisso che indica l’amore di Dio che si dona sino alla fine, che perdona « settanta volte sette », 490 volte.

    Dove si posa l’alito dello Spirito, l’amore  della Trinità divinai, ogni cosa si rianima, torna come nuova. Più semplice  di così !

     E allora, musica:

    5941pris31yw62

    Concerto brandeburghese n.2

    5941pris31yw62

     

     

    lunetta4v4d2166.jpg

     Clicca sull’immagine per ingrndire

    L’ERA NUOVA E IL GIORNO DEL SIGNORE  .  

    angelonocent.pngNella terza fase della mia età, mi trovo provvidenzialmente ad incarnare in qualche modo le due anime dei Fatebenefratelli: la religiosa e quella laica. Il connubio è frutto di vicende storiche che mi hanno portato ad alterne esperienze di vita. 

    Te le senti addosso come la pelle e non te le potresti togliere se non scorticandoti. Una mutilazione dolorosa e inutile.  

    Come in ogni convivenza, anche nella mia  non mancano le contraddizioni, i lati oscuri, le penombre, le paure, magari incorniciate in una paludata sicurezza, solo apparente, che cela diverse fragilità e nasconde numerosi limiti.

    Epperò, chi si trova in questa posizione che non frutta  benefici materiali ed esenta dalla preoccupazione di dover tutelare o difendere interessi personali o economico-istituzionali, non avendo un’immagine da salvaguardare, nulla da dimostrare, possiede una grande ricchezza: la libertà interiore. 

    Se c’è una forza, una grazia, è proprio contenuta in questa pronunciata debolezza: essere uomini che non contano. Il vantaggio è immediato: ci si sente liberi e leggeri (che non vuol dire irresponsabili e distanti) e  si avverte di poter osare il linguaggio della fede senza esitazioni, laddove  il « politicamente corretto, » consiglierebbe di usare un idioma alla pari: quello umano del dare e dell’avere, dei calcoli e delle scaltrezze.  Nulla di male, s’intende, ma limitante.

    In un clima di pesanti condizionamenti, saturo di riserve mentali di ogni genere, su ogni tema,  il modo di comportarsi è soggetto a incombenti tentazioni:

    • mandare a farsi benedire il « Regno di Dio« , espressione che non viene colta nel suo significato, quasi fosse una cosa che ha da venire. Lo dice espressamente l’evangelista Luca: « Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il Regno di Dio è in mezzo a voi » (Lc 17,20-25).

    • Gesù non viene solo ad annunciare il Regno ma è lui stesso la venuta  del Regno. In Lui il Regno viene partecipato come dono. Non a caso, a non accorgersene sono proprio i Farisei. Sono loro a domandare a Gesù, che rende presente il Regno, quando il Regno verrà.

    • Farisei di oggi siamo noi nella misura in cui non reagiamo  agli stimoli della Grazia, ossia dello Spirito, promesso compagno di viaggio alla Chiesa, fino alla fine dei tempi. Il primo gesto cui siamo chiamati è di aprire gl’occhi su questa presenza non appariscente, ma reale e determinante.

    • Il rischio incombente è sempre lo stesso: lasciarci sorprendere e sospingere verso « altro » che non sia il Regno di Dio. E poi, riformulare l’astuta e scaltra domanda: quando verrà?

     

    santamariadellortoroma.jpgQualche giorno fa mi sono sentito al telefono con l’amico carissimo Don Enrico Ghezzi, oggi Rettore di Santa Maria  dell’Orto di Roma, dopo aver lasciato da poco la Parrocchia.

    Gli sono riconoscente debitore, giacché in  gioventù, lui studente alla Gregoriana, io aspirante… mi ha fatto tanto amare la Chiesa con le lettere che mi scriveva ed i libri che mi spediva.

    Ad un certo punto della conversazione è emersa una constatazione:  noi apparteniamo, senza merito,  a quella generazione  che ha vissuto lo svolgersi del Vaticano II. Una grazia enorme.

    Ma anche una generazione sfortunata, se vogliamo, perché  di “sognatori e visionari”, molto simile a quella di cui parla il profeta Gioele al cap. 3.  E’ per via di un contesto che voleva e vorrebbe altro.  E’ il ripetersi della domanda farisaica: quando verrà il Regno di Dio?

    Fortunatamente basta rileggere il passo della promessa per sentirsi rinfrancati sulle gambe e riprendere vigore:  

     

    melogranino

    melograninoDopo questo,
    io effonderò il mio spirito
    sopra ogni uomo
    e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;

    melograninoi vostri anziani faranno sogni,
    i vostri giovani avranno visioni.

    melograninoAnche sopra gli schiavi e sulle schiave,
    in quei giorni, effonderò il mio spirito.

    melograninoFarò prodigi nel cielo e sulla terra,
    sangue e fuoco e colonne di fumo.

    melograninoIl sole si cambierà in tenebre
    e la luna in sangue,
    prima che venga il giorno del Signore,
    grande e terribile.

    melograninoChiunque invocherà il nome del Signore
    sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme
    vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore,
    anche per i superstiti che il Signore avrà chiamati. 

     

    mariaiconadellamadredidio.jpg

    melograninoDeludersi per i tempi? Mai. Dio va cercato là dove ci si trova, ha detto recentemente il Card. Martini, fiaccato nel fisico ma sorretto sempre da una gioiosa speranza. Quelli come me che hanno una piccola debole fede, hanno sempre la possibilità di unirsi a quella grande, assoluta, di Maria. Volendo, anche noi come lei, siamo in grado di vederegià ora il non ancora.

    Che fortuna! Ci sono stati riservati proprio gli anni migliori della Storia.

    Dall’incarnazione del Verbo, quelli che viviamo, sono i migliori perché è un espandersi del Regno di Dio che ci coinvolge come protagonisti nell’Evento che in Cristo, Alfa e Omega,  ricapitola l’universo intero.

    Non so ancora bene perché ho messo in piedi questo nuovo cantiere. Forse mi premeva di evidenziare una cosa che ho in animo, ossia che i movimenti, le associazioni, gli ordini e le congregazioni… mi vanno benissimo. A patto che non si perda mai di vista la consapevolezza di appartenere al POPOLO DI DIO e che non si straveda – come talvolta accade – più per i fondatori che per il Sommo Sacerdote

    .

    CRISTO GESU’

    alfaomega.jpg

    melogranino

     Udite, udite ! 

    « Io, Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, saluto i fratelli della città di Efeso che credono in Cristo Gesù: Dio nostro Padre e Gesù Cristo nostro Signore, vi diano grazia e pace.

          Dio ci ha amati per mezzo di Cristo

    melograninoBenedetto sia Dio
    Padre di Gesù Cristo nostro Signore. 

     Egli ci ha uniti a Cristo nel cielo,
    ci ha dato tutte le benedizioni dello Spirito. 

    melograninoPrima della creazione del mondo
    Dio ci ha scelti
    per mezzo di Cristo,
    per renderci santi e senza difetti
    di fronte a lui. 

    melograninoNel suo amore
    Dio aveva deciso
    di farci diventare suoi figli
    per mezzo di Cristo Gesù.
    Così ha voluto
    nella sua bontà. 

    melograninoA Dio dunque sia lode,
    per il dono meraviglioso
    che egli ci ha fatto
    per mezzo di Gesù
    suo amatissimo Figlio
    Cristo è morto per noi
    e noi siamo liberati;
    i nostri peccati sono perdonati. 

    melograninoQuesta è la ricchezza della grazia di Dio,
    che egli ci ha dato
    con abbondanza. 

    Ci ha dato la piena sapienza
    e la piena intelligenza:
     

    ci ha fatto conoscere
    il segreto progetto della sua volontà:

    quello che fin da principio
    generosamente
    aveva deciso di realizzare
    per mezzo di Cristo. 

    melograninoCosì Dio conduce la storia
    al suo compimento:
    riunisce tutte le cose,
    quelle del cielo e quelle della terra
    sotto un unico capo,
    Cristo. 

    melograninoE anche noi,
    perché a Cristo siamo uniti,
    abbiamo avuto la nostra parte;
    nel suo progetto
    Dio ha scelto anche noi
    fin dal principio. 

    melograninoE Dio realizza
    tutto ciò che ha stabilito. 

    Così ha voluto
    che fossimo una lode della sua grandezza,
    noi che prima degli altri
    abbiamo sperato in Cristo. 

    melograninoE anche voi
    siete uniti a Cristo,
    perché avete ascoltato
    l’annunzio della verità,
    il messaggio del Vangelo
    che vi portò la salvezza,
    e avete creduto in Cristo. 

    melograninoAllora Dio vi ha segnati
    con il suo sigillo:
    lo Spirito Santo che aveva promesso.

    melograninoLo Spirito Santo
    è caparra della nostra futura eredità:
    di quella piena liberazione
    che Dio darà a tutti quelli che ha fatto suoi,
    perché possano lodare
    la sua grandezza. 

    melogranino (LETTERA AGLI EFESINI, 1ss)  

    Formidabile l’ammonimento dell’Apostolo Pietro: « Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori ».

    E bella quella messa in luce di un’altra profonde esigenza di vita che tocca tutti:

    « Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi » (1 Pietro 3, 15).

    Essa viene  dall’ascolto della Parola e dalla fede accolta anche

    • nella sua bellezza e forza intellettuale,

    • nella sua intima « ragionevolezza »,

    • nella singolare sintonia che essa sa realizzare con i valori e le richieste della mente umana,

    • e dunque come risposta piena, anzi eccedente a tutte le istanze autentiche della ragione

    Questi sono gli intenti che si prefigge il cantiere.

    Buona navigazione e partecipazione, dallo scafista

    Angulo

    CHE COSA CI FA QUI

    in una galassia

    IL POPOLO DI DIO ?

     

    galassia-photo2

     

     

     

    Non siamo sperduti in una delle tante galassie ma conosciuti e chiamati per nome. Oggi, davanti alle conoscenze scientifiche, lo stupore è come non mai!

     

    L’UNIVERSO ?    E’ ARMONICO   

    Spia di un intrinseco « finalismo », l’evoluzione del cosmo passa dalla materia fino allo spirito: una riflessione del Cardinale Martini. «Gli astronomi e i fisici parlano da tempo di « multiverso », ed è un concetto che interroga la fede».

    Un itinerario che parte da San Paolo e attraverso Pascal arriva a Teilhard de Chardin.

    CARD. CARLO MARIA MARTINI

    (« Avvenire », 15/12/’07)

    martini-conferenziere-thumbnailChe cosa può significare l’ »universalismo » nel rapporto fra religioni e culture? Per rispondere a questa domanda, personalmente mi sarei piuttosto ispirato prima alla scienza, poi alle Scritture. Sarei partito cioè dalla definizione fisica di universo, così come viene data dagli astronomi e dai fisici.

    Essi parlano anzi oggi di «multiverso» intendendo così che non riusciamo a cogliere i limiti delle realtà nelle quali siamo immersi e che forse esistono altre realtà analoghe con le quali, almeno per il momento, non comunichiamo. Ciò ha a che fare anche con il desiderio che sentiamo di totalità e insieme con l’impossibilità pratica di raggiungerla.

     

    pascal_f1

     

    Anche se rimane vera la frase di Pascal: «Tous les corps, les firmaments, les étoiles, la terre et ses royaumes, ne valent pas le moindre des esprits: car il connait tout cela, et soi», rimane parimenti vero che tutto in questo universo nostro è costruito a partire dalla materia, che è quindi la prima «universalità», pur se debole, che noi tocchiamo senza riuscire a misurarla a fondo.

    Questo universo è in continua evoluzione, almeno l’universo che noi conosciamo. Un’evoluzione che passa per tutti i gradi dell’essere e arriva dalla materia fino al pensiero e all’amore. E qui citerei ancora le parole di Pascal, che con grande coraggio supera l’incantesimo prodotto dalla quantità illimitata di materia per giungere a dire che un atto di bontà, un sorriso, un atto d’amore, valgono immensamente più di tutte le misure possibili e immaginabili: «De tous les corps et esprits, on n’en saurait tirer un mouvement de vraie charité: cela est impossibile, et d’un autre ordre».

     

    paolo-di-tarso

     

    Il punto finale a cui tende questa evoluzione potrebbe essere espresso con le parole misteriose di San Paolo: «Quando tutto gli (al Figlio) sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (l Cor 15, 28).

    È in questo «tutto in tutti» che vedo concretamente indicato l’universo, che rappresenta perciò chiaramente non un dato già costruito ma un punto di arrivo.

    Ciò è espresso anche nella « Lettera agli Efesini », quando essa nomina «la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (1, 23), «che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire ogni cosa» (4, l0). C’è dunque una universalità che è il termine di tutto il cammino umano. Non si tratta però di una universalità debole, per « entropia », cioè di qualcosa di amorfo e di gelatinoso; ma di una universalità forte, nella quale le singole individualità personali sono riunite in unica e perfetta armonia.

     

    teilhard_2-230x300

     

    E qui non potrei non ricordare le pagine mirabili scritte da Teilhard de Chardin a questo proposito.

    Per esempio, là dove parla di quella tensione gradualmente accumulatasi tra l’umanità e Dio che toccherà un giorno i limiti prescritti dalle possibilità di questo mondo. E allora sarà la fine. Nell’azione finalmente liberata delle vere affinità degli esseri, gli « atomi spirituali » del mondo saranno portati al loro pieno sviluppo e collegati da una forza generatrice, dal potere di coesione proprio dell’universo e occuperanno il posto designato per loro nella struttura vivente del « Pleroma » (« Le milieu divin »).

    Si potrebbero citare molte altre pagine dello stesso autore, in particolare dell’ »Inno dell’universo », dove egli esalta questa pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità, ma affermazione piena della individualità di ciascuno in una perfetta armonia.

    Guardando le cose da questo punto di vista, si vede allora come non sono da promuovere le singole individualità semplicemente in quanto opposte le une alle altre, ma in quanto esiste in loro una forza di convergenza che permette di superare il loro stato presente di chiusura e aprirsi sempre più a quella pienezza cui sono chiamate.

    In questo senso occorrerebbe considerare le diversità culturali e anche le opposizioni delle diverse religioni. Non si tratta di esasperarle e neppure di banalizzarle o « omologarle » o ridurle a un minimo denominatore, ma di far emergere quegli elementi a partire dai quali esse possono raggiungere una sempre maggiore convergenza, anche attraverso le necessarie purificazioni.

    SALMO 139

    Signore, tu mi scruti e mi conosci;
    2mi siedo o mi alzo e tu lo sai.
    Da lontano conosci i miei progetti:
    3ti accorgi se cammino o se mi fermo,
    ti è noto ogni mio passo.
    4Non ho ancora aperto bocca
    e già sai quel che voglio dire.
    5Mi sei alle spalle, mi stai di fronte;
    metti la mano su di me!
    6È stupenda per me la tua conoscenza;
    è al di là di ogni mia comprensione.
     

    7Come andare lontano da te,
    come sfuggire al tuo sguardo?
    8Salgo in cielo, e tu sei là;
    scendo nel mondo dei morti, e là ti trovo.
    9Prendo il volo verso l’aurora
    o mi poso all’altro estremo del mare:
    10anche là mi guida la tua mano,
    là mi afferra la tua destra.
    11Dico alle tenebre: « Fatemi sparire »,
    e alla luce intorno a me: « Diventa notte! »;
    12ma nemmeno le tenebre per te sono oscure
    e la notte è chiara come il giorno:
    tenebre e luce per te sono uguali.
    13Tu mi hai plasmato il cuore,
    mi hai tessuto nel seno di mia madre.
    14Ti lodo, Signore: mi hai fatto
    come un prodigio.
    Lo riconosco: prodigiose sono le tue opere.
    15Il mio corpo per te non aveva segreti
    quando tu mi formavi di nascosto
    e mi ricamavi nel seno della terra.
    16Non ero ancora nato e già mi vedevi.
    Nel tuo libro erano scritti i miei giorni,
    fissati ancor prima di esistere.
    17Come sono profondi per me i tuoi pensieri!
    Quanto è grande il loro numero, o Dio!
    18Li conto: sono più della sabbia!
    Al mio risveglio mi trovo ancora con te.

      19O Dio, sopprimi i malvagi!
    Allontana da me i violenti!
    20Parlano di te per ingannare:
    abusano del tuo nome: sono tuoi nemici.
    21Signore, odio quelli che ti odiano,
    disprezzo chi si ribella a te.
    22Li odio di un odio implacabile:
    anche per me sono nemici.
      

    23Scrutami e conosci il mio cuore, o Dio.
    Mettimi alla prova e scopri i miei pensieri.
    24Vedi se seguo la via del male
    e guidami sulla tua via di sempre.
     

    globulirossicompanynewlogo.jpg

     

    FORUM | BLOG

    alfaomega.jpgLE COMUNITA’ SI INTERROGANO: Roma

    Non è tutto nero come sembra

     

    Il parere di parroci e laici impegnati a Roma ad animare la pastorale nelle parrocchie.

    di Vittoria Prisciandaro

    Una stanza sobria, quasi spoglia. Alle pareti, un’ icona, il crocifisso, il disegno di un bambino. Sulla scrivania tanti libri. Paolo VI, Il Concilio, La Bibbia di Gerusalemme.

    Don Enrico Ghezzi è un milanese trapiantato a Roma da quasi quarant’ anni, da dieci è parroco a San Vigilio, all’ Eur. «Minoranza? Lo dimostra la frequenza ai sacramenti, in netto calo rispetto al passato. E molti lo fanno per tradizione: una volta ricevuto il sacramento, finisce la formazione religiosa».

    • Quali le cause?

    Don Enrico non ha dubbi: «Il Papa dice che bisogna ritornare al Concilio e che la Chiesa deve dialogare. Ma se la Chiesa dice no ai divorziati, no agli omosessuali, no al la genetica, no a tutto… con chi dialoga?

    D’ altra parte, c’ è un ritorno massiccio ai santuari e alle immagini devozionali, all’ elemento religioso come a una fonte di sicurezza psicologica».

    • Come è cambiato il ruolo del parroco in questo contesto?

    «È rimasto punto di riferimento per i momenti più importanti della vita. E la parrocchia resta l’ immagine della Chiesa universale, a meno che non abbia perso la sua identità facendo monopolizzare tutto dai movimenti».

    • Quali consigli dare ai giovani parroci?

    «Oggi per fare il prete occorrono grande amore a Gesù Cristo, passione per il popolo di Dio, e spirito di sacrificio. Non so se i seminari educhino a queste cose. D’ altra parte, a furia di pensare a un laicato silenzioso, i laici sono scomparsi».

    «È vero, testimoni-faro oggi non se ne vedono più tanti in giro - commenta Paola Moreschini, viterbese, avvocato, mamma di Davide e Lorenzo, sposata con Beniamino Lecce, ‘semplice cristiana’ impegnata con l’ associazionismo dei consumatori - .

    Eppure, non condivido il pessimismo che c’ è in giro: c’ è una larga fetta di cristiani, che probabilmente non frequenta la comunità ecclesiale, ma ha un atteggiamento interiore docile, di servizio e di attenzione agli altri, forse a differenza di altri che frequentano la chiesa e hanno il cuore duro come un sasso».

    Paola non si sente minoranza e mette in guardia: «Questa tendenza di contarsi a me non piace molto, anche perché, qual è il criterio per farlo? La fede forse è l’ unico ambito in cui i sondaggi non sono affidabili».

    Nessuna amarezza, dunque, ma anzi sorpresa. «Rispetto a una società, e a volte purtroppo a una Chiesa, basate sull’ immagine e sui consumi, resto sempre sorpresa la domenica quando a messa vedo tante persone disposte a ‘perdere’ un’ ora per portare avanti un discorso di fede», conclude la signora Lecce.

    Un invito al discernimento viene da don Giambattista Angelo Pansa. Bergamasco, da trentatré anni a Roma, da sette guida la parrocchia della Trasfigurazione, nel quartiere Monteverde. «La cristianità diffusa? Mi piacerebbe sapere quando c’ è stata! Mi sembra che si stia equivocando, perché si contrappone ai fasti di un passato inesistente un presente che invece sarebbe disastroso».

    Don Giambattista ricorda che quando era viceparroco di borgata, ventisei anni fa, la frequenza alla messa domenicale era più bassa rispetto a oggi. «Una scissione tra fede e vita è in atto ormai da molti anni nel nostro paese, anche se la grande maggioranza si professa ancora cattolica.

    La novità sta nel fatto che soprattutto la globalizzazione della comunicazione ha portato alla relativizzazione dell’ appartenenza religiosa. Ma questo - dice il parroco - non significa che sia cambiato il ruolo della parrocchia. Resta la fontana del villaggio, il luogo di incontro con Dio e di formazione delle coscienze.

    Tutti dicono che bisogna rifondare le parrocchie, eppure sono l’ unica cosa che ancora regge. Tanto pessimismo sull’ oggi è sfiducia nello Spirito santo, è come dire che la Chiesa del passato ha sbagliato in tutto! Non è possibile senza un discernimento serio liquidare la cultura contemporanea come antireligiosa: questo rischia di essere un alibi per gli operatori pastorali, per non impegnarsi e scavarsi delle facili trincee».

    Niente minoranza, allora? «È un’ analisi equivoca, perché rischia di accompagnarsi all’ idea della forte identità da difendere, anche in modo aggressivo, in lotta con il mondo. Così si cade in un vittimismo di maniera, che parla di un ritorno catacombale».

    Dalla collina del Gianicolo al centro di Roma. In viale Mazzini c’ è la chiesa di Cristo Re, retta dai dehoniani. Padre Angelo Arrighini la guida da dieci anni. «Ufficialmente non credo si possa parlare di minoranza, ma di fatto sì: a parte il calo delle vocazioni, basta considerare che su tre battesimi, due sono figli di coppie conviventi, e alle prime comunioni, in quasi la metà dei casi si tratta di ragazzi di separati o di divorziati. Purtroppo, i genitori non sono più in grado di trasmettere un certo humus cristiano. Insomma, non viviamo in una situazione di ostilità, ma di indifferenza».

    «Il paradosso - dice padre Arrighini - è che si percepisce la necessità di una missione all’ interno delle nostre comunità, ma non c’ è mai stata, come oggi, una fioritura di corsi biblici, di documenti del magistero, di sussidi audiovisivi, di istituti di scienze religiose& Forse una delle cause è il mancato aggiornamento, la mancata percezione del problema della comunicazione che c’ è tra sacerdoti e mondo. Continuiamo a usare un linguaggio che non trasmette più nulla».

    «Uno dei punti di forza della parrocchia - commenta padre Angelo - è la partecipazione dei laici e il lavoro del Consiglio pastorale», e tra i laici «impegnati» a Cristo Re c’ è Giovanni Bachelet. Classe ’ 55, sposato con Silvia Fasciolo (Agesci), quattro figli, docente di fisica e chimica alla Sapienza, Giovanni ricorda la lezione del papà, Vittorio, ucciso in un attentato terroristico il 12 febbraio del 1980.

    «Ho ereditato da mio padre il sano dubbio che i santi, quelli per i quali l’ incontro con Gesù è un fatto decisivo che orienta e qualifica ogni scelta della vita (e non automatica o superficiale appartenenza etnica, territoriale, sociale), cioè i veri cristiani, siano sempre stati una minoranza.

    I cristiani erano pochi ai tempi delle catacombe, ma non erano numerosi, a dar retta a Dante, neanche ai tempi della societas christiana; non abbondavano né nei giorni dell’ onnipotenza democristiana, né in quelli della contestazione; sono pochi anche ora, fra scisma sommerso e opulenta indifferenza.

    Pochi, ma buoni. Sufficienti a infondere speranza e carità alla propria generazione e a trasmettere la fede in Cristo a quella successiva». .

    I SEGNI DEI TEMPI

    «Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è questo un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. In prossimità del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l’inizio».


    (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n.86)

    IL NOSTRO PUNTO DI VISTA


    APPARTENERE O ESSERE?

    Jean Delumeau è un raffinato storico francese, interessato particolarmente alla storia del cristianesimo. Alcuni anni fa pubblicò un saggio, tradotto anche in italiano, in cui si chiedeva se il cristianesimo fosse destinato all’ estinzione. Forse no. A meno che il numero dei cristiani non giunga sotto una soglia minimale.

    Certamente il cristianesimo - affermava Delumeau - non avrebbe più giocato il ruolo che storicamente aveva avuto nel mondo occidentale.

    Sullo stesso tema è ritornato di recente un altro storico francese, René Rémond. Anche lui rilevava la scarsa incidenza, e anche un’ aperta ostilità, che il cristianesimo (e il cattolicesimo in particolare) ha nella vita dei singoli e nelle società.

    Anche scrittori, saggisti e uomini di Chiesa di casa nostra hanno più volte trattato l’ argomento. Questo per dire quanto il tema affrontato in questo dossier sia attuale, pressante e vasto: di una vastità tale che richiederebbe altrettanto ampia trattazione, articolata secondo le varie prospettive che esso coinvolge.

    La parola «cattolico» etimologicamente significa universale, una sua definizione ha bisogno quanto meno di un’ ampia prospettiva di visuale e di interpretazione. Forse noi leggiamo il fenomeno con occhiali tipici della cultura occidentale. Non si può negare comunque, al di là anche delle grandi cifre che il Giubileo ha messo in mostra, al di là della sterminata folla di giovani accorsi a Roma da tutto il mondo per celebrare e vivere la Giornata ad essi dedicata, che il cristianesimo è diventato ormai una realtà di minoranza, dal punto di vista della significatività sociale e culturale.

    Resta aperta comunque la domanda su che cosa significhi essere cristiano. Se un fatto personale o un fatto sociale, di costume. Se quello che conta è appartenere alla cristianità o essere cristiani.

    L’ una o l’ altra risposta aprono il campo a valutazioni assai diverse. E l’ impressione che si ricava leggendo le  testimonianze raccolte nel dossier, è che nei cristiani di oggi, ridotti nel numero, sia prevalente la preoccupazione di essere cristiani, di vivere il cristianesimo come il Vangelo richiede.

    Non per crogiolarsi nell’ autocompiacimento di essere «pochi ma buoni», ma per diventare lievito che fermenta una nuova evangelizzazione che avvicini tutti a Gesù, per grazia di Dio ma anche per l’ esemplarità di vita dei cristiani.

    Il discorso potrebbe portare molto indietro nel tempo, fino alla grande svolta costantiniana, quando tutto, in un breve arco di tempo, in una Roma  pagana e persecutrice dei cristiani, cominciò a fare riferimento a una cultura cristiana.
    Ma nel Vangelo Gesù fa riferimento, e con espressioni forti, a piccole comunità, invitate a essere sale e lievito. Piccole porzioni della grande comunità degli uomini, capaci di dare sapore o far lievitare la massa, per creare realtà più consistenti. Un eccesso di sale non dà più sapore ma rende salato e quindi immangiabile il cibo; il lievito non può superare la quantità della pasta, non sarebbe più capace di farla fermentare.

    Il fatto di un cristianesimo ridotto, almeno nei numeri, a minoranza non può essere letto come reazione a un cristianesimo troppo salato o eccessivamente lievitato?

    A un cristianesimo diventato forte, potente, cioè pasta?

    Assume un sapore nuovo e un significato diverso riascoltare allora alcuni stimoli del Vangelo che ci invitano a ritornare a essere sale, a brillare come luce posta sul moggio, a non temere di essere un piccolo gregge, anche questo momento in cui il cristiano è chiamato a riesprimere la propria testimonianza in un contesto secolarizzato e dimentico delle proprie radici.

    Un percorso di credibilità umana ed esistenziale, capace di farsi illuminare e accompagnare dalla  Parola.

    di Luciano Bertazzo

    Da IL MESSAGGERO

     

    UN FUOCO NELLE VENE E L’AMORE NEL CUORE – Ghezzi – Nocent – 24/03/2009

    Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 24 janvier, 2009 @ 5:36

    sangiovannididiolincendiodellospedaleregiodigranada300c1.jpg 

    Roma, 24 Marzo 2009 

    Caro Angelo,

         vorrei mandarti un pò delle catechesi che tengo al lunedì sera, sulle letture bibliche dei testi quaresimali delle domeniche: anche altri me lo chiedono, ma avrei bisogno di  riordinare i miei appunti. Me lo proibisce, in questo momento,  il lavoro che sto dedicando ai ‘sacramenti’: sono arrivato alla ‘penitenza’, il sacramento oggi più in crisi per la santa madre Chiesa!

    Ma potrebbe essere anche un bene, per dare spazio alla propria ‘coscienza’ troppo spesso fatta tacere e non educata alla responsabiltà, dal momento che la ‘confessione’ assolve tutto! Ne riparleremo.

    sangiovannididio1989paladellaltarelateraleospedalesantorsolabresciapittoregabrielesaleri.bmpA San Giovanni di Dio ho partecipato soltanto alla Messa: non mi sono fermato a pranzo, perchè pare ci fossero non meno di 300 persone, tutti laici, con i quattro fraticelli …

    Nella breve omelia che ho fatto durante un giorno di triduo  che mi era stato concesso, ho espresso questa idea: il ‘fuoco‘ che Giovanni  supera nel rogo dell’ospedale di Granata, richiama di continuo il ‘fuoco’ biblico:

    • nell’Esodo quando il ‘roveto arde senza consumarsi’,

    • il ‘fuoco’ che accompagna nella notte il popolo del deserto,

    • il ‘fuoco’ che appare nel battesimo di Gesù in Matteo…“Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali; costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco…” (Mt 3).

    • Gesù che dice ‘sono venuto a aportare il fuoco sulla terra’

    • e finalmente il ‘fuoco’ della Pentecoste che è lo Spirito Santo.

    sangiovannididio1989paladellaltarelateraleospedalesantorsolabresciapittoregabrielesaleri.jpgDetto questo, ho soggiunto: Giovanni diventa ‘di Dio’ perchè bruciava dentro di lui l’ardore del fuoco che è l’Amore! E aggingevo: un ospedale dei FBF cosa sarà di diverso dagli altri ospedali civili, spesso eccellenti?

    Lo distinguerà ‘l’amore ardente’ del loro fondatore…

    Pare che ai sei frati e cinque suore presenti il discorso sia piaciuto! Si vedrà. Questo è stato il ‘tutto’ dell’8 Marzo 2009.

    Con affetto.
    don Enrico

     

    giordanisangiovannididiodelmurillojohnofgodmurillo.jpg 

    Come vedi, Don Enrico, basta poco per lasciare un segno di fuoco. Se il nostro comunicare nelle fede si estende, dilaga, divampa come un incendio, chi può arrestare l’azione dello Spirito ?

    San Giovanni di Dio, Quaresima, Esodo, colonna di fuoco…  tutti aspetti che s’intrecciano ma convergono verso il Numinoso.

    Cap 12, 42 dell’Esodo: “una notte di veglia fu questa per il Signore, mentre Egli li condusse fuori dal paese d’Egitto. Questa notte è per tutti i figli di Israele da celebrare come veglia del Signore di generazione in generazione”.

    Suggestiva l’immagine del fuoco. L’incendio di Granada e San Giovanni di Dio sembrano messi lì apposta, ad perpetuam rei memoriam dei suoi discpoli. Se si perde di vista la Pasqua, il fuoco può solo divorare, distruggere. Quell’incendio la dice lunga a noi avvolti da un dramma per certi versi analogo: il crollo di antiche certezze, la notte che avvolge ogni cosa, il sentiero smarrito, il disagio e la paura compagni di viaggio. Provo a estendere la riflesione:

    • La notte, un simbolo di oppressione (la notte dello Spirito, della fede…),

    • La tenebra, come evocazione del potere del male.

    • Ma la notte è anche il momento dell’azione misteriosa di Dio. Lui opera e nessuno se ne accorge.

    Quale attualità, quando sembra che tutto sia destinato a dissolversi sotto il fuoco divoratore di tempi considerati tebrosi.

    fal.jpg

     Quel fuoco di Granada è un segno liturgico: rimanda agli  israeliti ed alla sera della cena di Pasqua, il nostro  Sabato Santo.

     Stupenda la motivazione: “fu notte di veglia per il Signore”. Indubbiamente è un modo popolare di esprimersi: il Signore dovette vegliare tutta la notte per poter far uscire il suo popolo. Pensa: per far memoria di questo, di generazione in generazione, Israele veglia, ripensando a tutto quello che il Signore ha fatto in quella notte.

    Ho letto che, a partire dal I° sec. a.C. (al tempo di Gesù e degli Apostoli) in sinagoga veniva letto il testo ebraico dell’Esodo, ma dato che la popolazione non capiva più l’ebraico, veniva tradotto oralmente nella lingua parlata che era l’aramaico. Queste traduzioni aramaiche chiamate « targum » erano molto più lunghe del testo. Più che una traduzione pari-pari, erano dei commenti, delle interpretazioni, delle spiegazioni. E così questo versetto, conosciuto come il poema delle quattro notti, rievoca le veglie del Signore:

    • La 1° notte è quella della creazione, quando Dio creò il mondo. 

    • La 2° notte è quella di Abramo e del sacrificio di Isacco. 

    • La 3° notte è quella dell’Esodo, quando il Signore vegliò per liberare il suo popolo. 

    • La 4° notte sarà quella del Re Messia.

    Quando veniva letto in sinagoga questo testo, la gente sentiva parlare delle quattro notti: creazione, Isacco, Esodo e venuta del Messia.

    Veniamo a noi. Le letture del sabato santo della veglia, quali sono?

    1. lettura: la creazione
    2. lettura: Il sacrificio di Isacco 
    3. lettura: il passaggio del Mar Rosso

    E poi, c’è la notte del Messia: Dominus resurrexit. Alleluja.

    Non è casuale questo. C’è un legame importantissimo: il targum ha formato la mentalità della prima comunità cristiana ed è diventata un patrimonio tradizionale che poi  si è trasmesso di generazione in generazione.

    Dunque, la notte ha un suo mistero; la notte è l’ambiente dove avvengono cose prodigiose che l’uomo non capisce perché è il momento della non – azione.

    Si puo dire che, quanto accaduto all’ospedale Regio di Granada sia proprio questo:

    • un improvviso calare della notte, simbolo di oppressione (la notte dello spirito, della fede…).
    • Per tutti è tenebra, evocazione del potere distruttivo del male.

    • Ma la notte è il momento dell’azione misteriosa di Dio.

    E cosa succede? Giovanni passa incolume tra le fiamme del Mar Rosso di fuoco. Dio opera e nessuno se ne accorge. Dio salva e ricostruisce…I motivi ce li hai spiegati molto bene.

    Caro Enrico, spero che possa trovare il tempo per accendere nuovi roghi nella notte.

    A presto.  Angulo

    LO SPIRITO SOTTO FORMA DI « LINGUE » – Don Enrico Ghezzi

    Classé dans : UMANIZZARE O DIVINIZZARE? — 24 janvier, 2009 @ 8:02

    santamariadellortoroma.jpg

    Chiesa di Santa Maria dell’Orto – Roma

    Carissimo Don Enrico,

     

                                        ho ritenuto di pubblicare sul blog, senza nemmeno chiedertelo, le tue preziose considerazioni perché sono sincere e diagnosticano i mali che affliggono questa e tante altre situazioni analoghe.

    Se c’è una vena di amarezza e di sfiducia nel tuo dire, alla fine però emerge la tua fede, convinto come sei che l’ultima parola spetta a Lui, lo Spirito Santo che ha promesso di restare con noi, proprio perché ci sa inclini alle sbandate « politicamente corrette ».

    Mi scrivi che « La Pentecoste, inaugura ogni volta il tempo della speranza: è ancora il ‘fuoco’ (ricordi Giovanni di Dio?) sotto forma di ‘lingue’ che deve divampare nel cuore degli uomini e delle donne: è il tempo di ripetere come invocazione, più volte al giorno ‘Vieni Signore Gesù, vieni Santo Spirito’! ». E’ bellisima l’idea che la Parola condivisa accenda l’interiorità. E’ il faticosissimo processo di divinizzazione in atto.

    Mi auguro che tu trovi il tempo per allargare la riflessione e, con la tua competenza ed esperienza, possa dare coraggio e speranza a chi è nella « notte oscura ».

    « Portate gli uni i pesi degli altri…« , in questo caso vuol dire portare speranza in mezzo a tante delusioni, illuminare le coscienze, l’opera di misericordia di portare la verità e la libertà dei figli di Dio. Per l’intercessione di Santa Maria dell’Orto, di cui riproduco l’effigie che ti è cara e che si venera nell’antica chiesa dove svolgi attualmente il tuo ministero romano.

    Angelo

     

    Caro Angelo,

                             ho letto, in parte, la tua lunghissima lettera: complimenti per la tua competenza biblico-teologica, citando uno degli ultimi grandi biblisti dei nostri giorni.

    Non so quanto potrà servire a questi nostri fratellini. Dentro di loro si è peduta l’anima, l’ideale e la passione. Rimane la buona fede e la povertà di riflessione.

    Cosa fare, se tutta l’attenzione degli ultimi anni è stata quella di ‘cambiare’ immergendosi nella dinamica di trasformazione dei locali, delle esigenze sacrosante di riformare l’apparato medico-funzionale?

    Lì è il grande equivoco: mi convinco che ‘rinnovare‘ sia identico al trasformare materiale. Quando questo evento perdura per lunghi anni e diverse generazioni, allora le conseguenze sono evidenti: che farò quando ho speso tutte le forze per dire che anch’io ‘esisto‘ , che anch’io sono nell’ingranaggio produttivo per cui devo contare, devo far parlare di me ecc.?

    Tutto questo si può anche fare o desiderare, ma nel frattempo debbo approfondire il ‘senso’ del mio eistere, l’anima della mia vita, la passione che mi ha guidato; questo è il valore della ‘tradizione’, un saper riproporre il fuoco della carità evangelica, in ‘vasi nuovi’, in nuove speranze di amore verso questa umanità.

    Io non escludo che questo ci possa anche essere stato, ma in modo confuso, senza una stella polare, fermandosi e confermandosi per decenni su uomini e idee, che nascondevano un abisso di desiderio di potere, di ricchezza, di libertà personale, a scapito di ogni rispetto di idee e prospettive che venivano man mano suggerite e indicate.

    Ora è troppo tardi, e il tuo strordinario contributo, da quelli che riusciranno a comprenderlo, sarà guardato con infinita amarezza e sofferenza, ma anche trascurato da tutti quelli che non riescono a uscire da una pura visione di gestire il concreto in cui sono immersi.

    Ti dirò che questa è una situazione allargata ad ampi strati della Chiesa, che non riesce a ritrovare la forza per il volo inaugurato dal Concilio che abbiamo così tanto amato.

    La Pentecoste, inaugura ogni volta il tempo della speranza: è ancora il ‘fuoco’ (ricordi Giovanni di Dio?) sotto forma di ‘lingue’ che deve divampare nel cuore degli uomini e delle donne: è il tempo di ripetere come invocazione, più volte al giorno ‘Vieni Signore Gesù, vieni Santo Spirito’!

    Con grande affetto.

    don Enrico.

     

    giovannipaoloii.jpg

     

    Sono certo che gradirai ricordare una data importante del tuo ministero parrocchiale: la visita del Vescovo di Roma:VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN VIGILIO


    OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
    Domenica, 7 novembre 1993

    Arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze” (Mt 25, 10).

     

    1. Carissimi fratelli e sorelle della Parrocchia di San Vigilio, la pagina evangelica dell’odierna domenica narra la parabola delle vergini invitate alle nozze. La festa nuziale, nel linguaggio di Gesù, è un simbolo. Gesù come Sposo è un grande simbolo del Nuovo Testamento, simbolo del Regno dei cieli, della salvezza finale, della vita beata, realtà alla quale siamo tutti chiamati e che, nel disegno divino come pure nel desiderio dell’uomo, rappresenta il termine ultimo dell’esistenza, il compimento della nostra vocazione cristiana. A questa salvezza bisogna tendere con perseveranza e senso di grande responsabilità (cf. Fil 2, 12).

    Il testo dell’evangelista Matteo presenta due categorie di persone, entrambe desiderose di entrare alla festa e tuttavia radicalmente differenti per il loro comportamento. Un primo gruppo è formato di vergini “sagge”, le quali, prevedendo che l’attesa avrebbe potuto prolungarsi, portano con sé, insieme con le lampade per rischiarare la notte, anche la scorta di olio per alimentarle. L’altro gruppo invece è costituito da quelle che non vi hanno pensato e all’arrivo dello sposo si trovano con le fiammelle vacillanti e nell’impossibilità di rifornirsi di olio. Il risultato è ineluttabile: le prime entrano e le altre restano escluse, vittime della loro stessa stoltezza. Gesù conclude: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25, 13).

    2. Come interpretare la metafora delle lampade e dell’olio? Anzitutto, le lampade rappresentano la vita dei credenti, rinati ed illuminati nel Battesimo, diventati “figli della luce” (Gv 12, 36) per la fede in Cristo, “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). L’olio, poi, possiamo intenderlo come simbolo delle risorse spirituali di cui è dotata la Chiesa: un tesoro di verità e di grazia, di preghiera e di energia divina, di insegnamenti e di esempi continuamente a disposizione dei fedeli. Questi esempi sono i Santi.

    Inseriti attivamente nella vostra parrocchia, cellula della Chiesa universale, cellula della Chiesa di Roma, anche voi, carissimi Fratelli e Sorelle, potete attingere con previdente costanza da tale patrimonio inesauribile, per essere pronti ad accogliere il Signore in qualunque ora, quando verrà e chiamerà i suoi amici a stare con lui per sempre.
    3. Questa interpretazione spiccatamente ecclesiale della parabola aiuta a sottolineare due caratteristiche fondamentali del cristiano. La prima è che egli dispone di grandi ricchezze soprannaturali – anche quella che si chiama cultura cristiana è un tesoro inesauribile – per vivere in modo conforme al suo autentico bene personale e comunitario, bene della Chiesa e del popolo, un bene secondo le attese divine.

    Chi è assiduo alla vita della Comunità imita le vergini prudenti ed assicura a se stesso, lungo l’intera esistenza, la necessaria costanza nel tendere a Dio, attraverso la vita di ogni giorno, attraverso la preghiera, attraverso la conoscenza delle verità divine. Da questa conoscenza deriva l’amore di Dio e del prossimo. Nello stesso tempo questo cammino ci conduce al bene, alla carità, alla santità.
    Un secondo aspetto di tale appartenenza ecclesiale è l’impegno multiforme che essa comporta, impegno che, nei nostri tempi segnati da preoccupanti forme di neopaganesimo, si presenta ancor più pressante e necessario, come ci ha reso visibile il Sinodo di Roma che ha una sua speciale importanza.

    4. I decenni conclusivi del secolo XX, che stiamo vivendo, risentono felicemente del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha esaminato in profondità il rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. I frutti dell’insegnamento conciliare, contenuto in documenti di altissimo valore teologico e pastorale, sono ben visibili. Penso al rinnovamento della liturgia, alla più intensa partecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa, all’impegno di carità e al generoso coinvolgimento missionario, agli sforzi coraggiosi del dialogo ecumenico ed interreligioso.

    Nella linea dell’autentica interpretazione del Concilio si situa anche il Sinodo pastorale della nostra diocesi romana, evento di comunione e di missione, conclusosi nello scorso mese di giugno. Il suo primo risultato consiste proprio in un rinnovato stile di vita dell’intera Comunità credente per una partecipazione più attiva all’opera della nuova evangelizzazione della Città, del Paese e del mondo contemporaneo. È una grande sfida per la Chiesa.
    Strumento prezioso per tale lavoro apostolico e missionario è il “Libro del Sinodo”, che quest’oggi nel corso della mia Visita pastorale simbolicamente vi consegno. Esso costituisce ormai il testo-guida nel cammino della diocesi di Roma verso il terzo Millennio cristiano. Vi troverete, ne sono certo, abbondante olio per far brillare sempre meglio le vostre lampade di fede e di carità, nel servizio di Dio e del prossimo.

    5. Del “Libro sinodale” vi sono ben note le linee fondamentali. La prima parte aiuta ad approfondire il significato e il valore dell’essere Chiesa, famiglia unita nella comunione e chiamata a compiere la missione dell’evangelizzazione.
    La Chiesa che è in Roma, la nostra Chiesa particolare, riveste alcune caratteristiche peculiari, legate al ministero universale del suo Vescovo, il successore di Pietro. Essa è pertanto chiamata a collaborare con lui nell’accoglienza e nella missione verso i fratelli di ogni Continente, offrendo a tutti una singolare testimonianza evangelica.
    Nella seconda parte del “Libro” sono indicate le vie della nuova evangelizzazione, e, nella terza, sono messe a fuoco alcune priorità o ambiti privilegiati: la famiglia, il mondo giovanile, la società civile nelle sue finalità di promozione umana e la cultura come strumento di crescita individuale e sociale.

    6. Evangelizzare la Città: si tratta di un impegnativo sforzo apostolico, al quale anche voi, cari parrocchiani di San Vigilio, siete chiamati a partecipare attivamente, anche il Popolo di Dio partecipa all’attività apostolica, sotto la guida dei vostri Pastori, del Cardinale Vicario, Camillo Ruini, responsabile di tutte le parrocchie, di Monsignor Clemente Riva, Vescovo della vostra zona, del vostro Parroco, DON ENRICO GHEZZI, e di tutti i sacerdoti della Prefettura.

    La vostra è una parrocchia di recente istituzione, una comunità “giovane”, popolosa, che guarda fiduciosa verso il futuro. I giovani sono fiduciosi, dimostrano fiducia verso la loro famiglia e i loro parenti se l’ambiente non li condiziona. I giovani a Denver hanno mostrato grande fiducia verso la Chiesa e ci hanno fatto una grande sorpresa. Non si prevedeva una così grande fiducia verso la Chiesa, verso la persona del Papa, verso i Vescovi. È stato un evento stupendo.

    Crescete, pertanto, carissimi fratelli e sorelle, in quell’assiduità alla vita parrocchiale che già mostrate con l’odierna vostra presenza. Siate uniti tra voi, con i vostri sacerdoti, e con tutte le componenti della vostra Comunità, sostenendovi sempre a vicenda. Coltivate la preghiera individuale e comune, testimoniate il Vangelo con le parole e con la vita, e, in proporzione ai talenti ricevuti da Dio, prendete parte alle attività promosse dalla Parrocchia per diffondere la parola di Dio, affinché la speranza animi ogni famiglia di questo vostro quartiere.

    7. Bisogna poi curare molto la vita delle vostre famiglie, di tutte le famiglie. In tale spirito di assiduità alla vita parrocchiale, di fraternità e di collaborazione con il vostro Parroco, saluto i genitori, primi responsabili dell’educazione alla fede dei figli, e con essi i giovani e le giovani da cui tanto la Chiesa si attende. Saluto i catechisti, tanto importanti nei Paesi di missione, ma anche importanti a Roma, che è una terra di missione. Saluto i collaboratori della vostra comunità parrocchiale e gli animatori dei vari gruppi ecclesiali impegnati nell’opera della carità e dell’animazione liturgica.

    8. Comunità di San Vigilio, anche a te il Signore dice: “Sii fedele… e ti darò la corona della vita” (cf. Ap 2, 10).
    Carissimi, Iddio ricompensi quanto voi fate per la Chiesa, per l’animazione evangelica delle vostre famiglie, per il quartiere e per la Città.
    Possiate vivere ed operare in modo tale da essere pronti ad accogliere il Signore che viene.
    Possiate ogni giorno ripetere con profonda nostalgia dello spirito: “Ha sete di te, Signore, l’anima mia”!
    Siate sempre desti e vigilanti! Cercate il Signore! Non perdete mai il vostro cammino.

    L’Eucaristia è il momento in cui si dice: “Ecco lo sposo, andategli incontro”. Cristo ha istituito questo sacramento che lo rende presente in persona. Ricevetelo.

    “Le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze”. Entrare alle nozze vuol dire oggi partecipare al banchetto eucaristico e ricevere il Signore. È quanto vi auguro di cuore.
    Amen!
     
    © Copyright 1993 – Libreria Editrice Vaticana

    FRATI NEL VIVO DEL MINISTERO – A. Nocent

    Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 22 janvier, 2009 @ 12:09

    sangiovannididioefratifichero1144620070323.gif
    Carissimi fratelli ed amici,

    la Provincia Lombardo-Veneta, ossia ognuno di voi, sta attraversando quella fase che Paolo descrive nella seconda lettera ai Cristiani di Roma dove egli “si racconta” nel cuore delle fatiche quotidiane e nel vivo del suo ministero.

    Molti di voi hanno speso tante energie per il Vangelo e con quelle che restano bisogna affrontare il momento presente e l’impatto con le difficoltà di ogni tipo.

    Io sono qui oggi, in veste di ripetitore o, se preferite, come l’ultimo dei collaboratori di san Paolo di cui Benedetto XVI ha parlato in uno dei suoi mercoledì e che riporto perché ci apra gli orizzonti e ci aiuti a superare alcune resistenze. Il Papa ha detto: « Dobbiamo riconoscere che l’Apostolo è un esempio eloquente di uomo aperto alla collaborazione: nella Chiesa egli non vuole fare tutto da solo, ma si avvale di numerosi e diversificati colleghi. Non possiamo soffermarci su tutti questi preziosi aiutanti, perché sono molti. Basti ricordare, tra gli altri,

    • Èpafra (cfr Col 1,7; 4,12; Fm 23),
    • Epafrodìto (cfr Fil 2,25; 4,18),
    • Tìchico (cfr At 20,4; Ef 6,21; Col 4,7; 2 Tm 4,12; Tt 3,12),
    • Urbano (cfr Rm 16,9),
    • Gaio e Aristarco (cfr At 19,29; 20,4; 27,2; Col 4,10).
    • E donne come Febe (cfr Rm 16, 1), Trifèna e Trifòsa (cfr Rm 16, 12), Pèrside, la madre di Rufo — della quale san Paolo dice: « È madre anche mia » (cfr Rm 16, 12-13) — per non dimenticare coniugi come Prisca e Aquila (cfr Rm 16, 3; 1Cor 16, 19; 2Tm 4, 19).

    Oggi, tra questa grande schiera di collaboratori e di collaboratrici di san Paolo rivolgiamo il nostro interessamento a tre di queste persone, che hanno svolto un ruolo particolarmente significativo nell’evangelizzazione delle origini: Barnaba, Silvano e Apollo.

    • Barnaba significa «figlio dell’esortazione» (At 4,36) o «figlio della consolazione» ed è il soprannome di un giudeo-levita nativo di Cipro. Stabilitosi a Gerusalemme, egli fu uno dei primi che abbracciarono il cristianesimo, dopo la risurrezione del Signore. Con grande generosità vendette un campo di sua proprietà consegnando il ricavato agli Apostoli per le necessità della Chiesa (cfr At 4,37). Fu lui a farsi garante della conversione di Saulo presso la comunità cristiana di Gerusalemme, la quale ancora diffidava dell’antico persecutore (cfr At 9,27). Inviato ad Antiochia di Siria, andò a riprendere Paolo a Tarso, dove questi si era ritirato, e con lui trascorse un anno intero, dedicandosi all’evangelizzazione di quella importante città, nella cui Chiesa Barnaba era conosciuto come profeta e dottore (cfr At 13,1). Così Barnaba, al momento delle prime conversioni dei pagani, ha capito che quella era l’ora di Saulo, il quale si era ritirato a Tarso, sua città. Là è andato a cercarlo. Così, in quel momento importante, ha quasi restituito Paolo alla Chiesa; le ha donato, in questo senso, ancora una volta l’Apostolo delle Genti. Dalla Chiesa antiochena Barnaba fu inviato in missione insieme a Paolo, compiendo quello che va sotto il nome di primo viaggio missionario dell’Apostolo. In realtà, si trattò di un viaggio missionario di Barnaba, essendo lui il vero responsabile, al quale Paolo si aggregò come collaboratore, toccando le regioni di Cipro e dell’Anatolia centro-meridionale, nell’attuale Turchia, con le città di Attalìa, Perge, Antiochia di Pisidia, Iconio, Listra e Derbe (cfr At 13-14).Insieme a Paolo si recò poi al cosiddetto Concilio di Gerusalemme dove, dopo un approfondito esame della questione, gli Apostoli con gli Anziani decisero di disgiungere la pratica della circoncisione dall’identità cristiana (cfr At 15,1-35). Solo così, alla fine, hanno ufficialmente reso possibile la Chiesa dei pagani, una Chiesa senza circoncisione: siamo figli di Abramo semplicemente per la fede in Cristo.
    • I due, Paolo e Barnaba, entrarono poi in contrasto, all’inizio del secondo viaggio missionario, perché Barnaba era dell’idea di prendere come compagno Giovanni Marco, mentre Paolo non voleva, essendosi il giovane separato da loro durante il viaggio precedente (cfr At 13,13; 15,36-40). Quindi anche tra santi ci sono contrasti, discordie, controversie. E questo a me appare molto consolante, perché vediamo che i santi non sono « caduti dal cielo ». Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono. E così Paolo, che era stato piuttosto aspro e amaro nei confronti di Marco, alla fine si ritrova con lui. Nelle ultime Lettere di san Paolo, a Filèmone e nella seconda a Timoteo, proprio Marco appare come « il mio collaboratore ». Non è quindi il non aver mai sbagliato, ma la capacità di riconciliazione e di perdono che ci fa santi. E tutti possiamo imparare questo cammino di santità. In ogni caso Barnaba, con Giovanni Marco, ripartì verso Cipro (cfr At 15,39) intorno all’anno 49. Da quel momento si perdono le sue tracce. Tertulliano gli attribuisce la Lettera agli Ebrei, il che non manca di verosimiglianza perché, essendo della tribù di Levi, Barnaba poteva avere un interesse per il tema del sacerdozio. E la Lettera agli Ebrei ci interpreta in modo straordinario il sacerdozio di Gesù.

    Un altro compagno di Paolo fu Sila, forma grecizzata di un nome ebraico (forse sheal, «chiedere, invocare», che è la stessa radice del nome «Saulo»), di cui risulta anche la forma latinizzata Silvano. Il nome Sila è attestato solo nel Libro degli Atti, mentre il nome Silvano compare solo nelle Lettere paoline. Egli era un giudeo di Gerusalemme, uno dei primi a farsi cristiano, e in quella Chiesa godeva di grande stima (cfr At 15,22), essendo considerato profeta (cfr At 15,32). Fu incaricato di recare «ai fratelli di Antiochia, Siria e Cilicia» (At 15,23) le decisioni prese al Concilio di Gerusalemme e di spiegarle. Evidentemente egli era ritenuto capace di operare una sorta di mediazione tra Gerusalemme e Antiochia, tra ebreo-cristiani e cristiani di origine pagana, e così servire l’unità della Chiesa nella diversità di riti e di origini. Quando Paolo si separò da Barnaba, assunse proprio Sila come nuovo compagno di viaggio (cfr At 15,40). Con Paolo egli raggiunse la Macedonia (con le città di Filippi, Tessalonica e Berea), dove si fermò, mentre Paolo proseguì verso Atene e poi Corinto. Sila lo raggiunse a Corinto, dove cooperò alla predicazione del Vangelo; infatti, nella seconda Lettera indirizzata da Paolo a quella Chiesa, si parla di «Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo» (2 Cor 1,19). Si spiega così come mai egli risulti come co-mittente, insieme a Paolo e Timoteo, delle due Lettere ai Tessalonicesi. Anche questo mi sembra importante. Paolo non agisce da « solista », da puro individuo, ma insieme con questi collaboratori nel « noi » della Chiesa. Questo « io » di Paolo non è un « io » isolato, ma un « io » nel « noi » della Chiesa, nel « noi » della fede apostolica. E Silvano alla fine viene menzionato pure nella Prima Lettera di Pietro, dove si legge: «Vi ho scritto per mezzo di Silvano, fratello fedele» (5,12). Così vediamo anche la comunione degli Apostoli. Silvano serve a Paolo, serve a Pietro, perché la Chiesa è una e Il terzo compagno di Paolo, di cui vogliamo fare memoria, è chiamato Apollo, probabile abbreviazione di Apollonio o Apollodoro. Pur trattandosi di un nome di stampo pagano, egli era un fervente ebreo di Alessandria d’Egitto. Luca nel Libro degli Atti lo definisce «uomo colto, versato nelle Scritture… pieno di fervore» (18,24-25).

    L’ingresso di Apollo sulla scena della prima evangelizzazione avviene nella città di Efeso: lì si era recato a predicare e lì ebbe la fortuna di incontrare i coniugi cristiani Priscilla e Aquila (cfr At 18,26), che lo introdussero ad una conoscenza più completa della « via di Dio » (cfr At 18,26). Da Efeso passò in Acaia raggiungendo la città di Corinto: qui arrivò con l’appoggio di una lettera dei cristiani di Efeso, che raccomandavano ai Corinzi di fargli buona accoglienza (cfr At 18,27).

    A Corinto, come scrive Luca, «fu molto utile a quelli che per opera della grazia erano divenuti credenti; confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo» (At 18,27-28), il Messia. Il suo successo in quella città ebbe però un risvolto problematico, in quanto vi furono alcuni membri di quella Chiesa che nel suo nome, affascinati dal suo modo di parlare, si opponevano agli altri (cfr 1 Cor 1,12; 3,4-6; 4,6).

    Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi esprime apprezzamento per l’operato di Apollo, ma rimprovera i Corinzi di lacerare il Corpo di Cristo suddividendosi in fazioni contrapposte. Egli trae un importante insegnamento da tutta la vicenda: sia io che Apollo – egli dice – non siamo altro che diakonoi, cioè semplici ministri, attraverso i quali siete venuti alla fede (cfr 1 Cor 3,5). Ognuno ha un compito differenziato nel campo del Signore: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere… Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio» (1 Cor 3,6-9). Rientrato a Efeso, Apollo resistette all’invito di Paolo di tornare subito a Corinto, rimandando il viaggio a una data successiva da noi ignorata (cfr 1 Cor 16,12).

    Non abbiamo altre sue notizie, anche se alcuni studiosi pensano a lui come a possibile autore della Lettera agli Ebrei, della quale, secondo Tertulliano, sarebbe autore Barnaba.

    Tutti e tre questi uomini brillano nel firmamento dei testimoni del Vangelo per una nota in comune oltre che per caratteristiche proprie di ciascuno. In comune, oltre all’origine giudaica, hanno la dedizione a Gesù Cristo e al Vangelo, insieme al fatto di essere stati tutti e tre collaboratori dell’apostolo Paolo. In questa originale missione evangelizzatrice essi hanno trovato il senso della loro vita, e in quanto tali stanno davanti a noi come modelli luminosi di disinteresse e di generosità. E ripensiamo, alla fine, ancora una volta a questa frase di san Paolo: sia Apollo, sia io siamo tutti ministri di Gesù, ognuno nel suo modo, perché è Dio che fa crescere.

    Questa parola vale anche oggi per tutti, sia per il Papa, sia per i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i laici. Tutti siamo umili ministri di Gesù. Serviamo il Vangelo per quanto possiamo, secondo i nostri doni, e preghiamo Dio perché faccia Lui crescere oggi il suo Vangelo, la sua Chiesa ».

    sangiovannididiolamisericordiafilippocomerio.bmpSe dalle riflessioni del Papa l’anima si sente refrigerata, conforto, sostegno e luce possono venire solo dalla forza dirompente della Parola ispirata quale è la seconda lettera di Paolo ai Corinti:

    “1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo scrivono alla chiesa di Dio che si trova in Corinto e a tutti quelli che in Grecia appartengono a Dio. 2Dio, nostro Padre, e il Signore Gesù Cristo diano a voi grazia e pace.

    Paolo ringrazia Dio
    3Lodiamo Dio, Padre di Gesù Cristo, nostro Signore!, il Padre che ha compassione di noi, il Dio che ci consola. 4Egli ci consola in tutte le nostre sofferenze, perché anche a noi sia possibile consolare tutti quelli che soffrono, portando quelle stesse consolazioni che egli ci dà. 5Perché, se molto ci tocca soffrire con Cristo, molto siamo da lui consolati. 6Se soffriamo, è perché voi riceviate quella consolazione che vi renderà forti nel sopportare le stesse avversità che anche noi sopportiamo. 7Questa nostra speranza è ben fondata, perché sappiamo che condividete non solo le nostre sofferenze ma anche le nostre consolazioni.

    8Dovete sapere, fratelli, che in Asia ho dovuto sopportare sofferenze grandissime, addirittura superiori alle mie forze. Temevo di non potere sopravvivere. 9Mi sentivo già un condannato a morte. Dio ha voluto così, per insegnarmi a mettere la mia fiducia non in me stesso ma in colui che dà vita ai morti. 10Egli mi ha liberato da un grande pericolo di morte, e mi libererà ancora. Sì! Sono sicuro che mi libererà ancora 11con l’aiuto delle vostre preghiere. Dio risponderà alle preghiere che molti faranno per me. Così, molti lo ringrazieranno per avermi liberato.

    Perché Paolo non è andato a Corinto

    12- 13Di questo mi vanto: in coscienza posso dire che mi sono comportato con tutti, e specialmente con voi, con la semplicità e la sincerità che vengono da Dio. Infatti, anche nelle mie lettere, vi scrivo soltanto quel che leggete e capite. Non è la sapienza umana che mi guida, ma la grazia di Dio. Spero che alla fine riuscirete a capire bene 14quel che ora capite solamente in parte, cioè che quando ritornerà il Signore Gesù, voi potrete essere fieri di me, come io potrò esserlo di voi.

    15- 16Con questa convinzione avevo pensato di procurarvi la gioia di una seconda visita, passando da voi mentre mi recavo in Macedonia. Poi volevo passare ancora da voi nel viaggio di ritorno. Voi mi avreste quindi aiutato a proseguire il viaggio verso la Giudea.

    17Pensate forse che ho fatto questo progetto con leggerezza? O forse pensate che io abbia voluto essere ambiguo, perché prima vi ho detto « si » e poi « no »? 18Com’è vero che Dio mantiene le sue promesse, quando parlo con voi non faccio un miscuglio di « si » e di « no ». 19Dio, per mezzo di Gesù Cristo, suo figlio, che io, Silvano e Timòteo vi abbiamo annunziato, non ha detto « si » e « no », ma soltanto « si ». 20E così, in Cristo, ha compiuto tutte le sue promesse. Perciò, per mezzo di Gesù Cristo, noi lodiamo Dio dicendogli « Amen ».
    21Chi ci mantiene saldi nell’unione con Cristo, noi e voi insieme, è Dio; egli ci ha scelti, 22ci ha segnati con il suo nome e ci ha dato lo Spirito Santo come garanzia di quel che riceveremo.

    23Se non sono venuto a Corinto, come avevo pensato, è stato per non urtarvi. Dio mi è testimone e mi faccia morire se non dico la verità. 24Io non voglio dominare la vostra fede, perché è già salda. Voglio soltanto lavorare con voi per la vostra gioia”. (2 Cor 1-24)

    La lettura anche solo della prima parte di questa lettera, a prima vista sembra metterci in ascolto solo delle sofferenze e dei malintesi che accompagnano la vita dell’Apostolo. In realtà, a guardar bene, egli ci apre prospettive impensate :
    • quando ricorda che dalla sofferenza si sprigiona anche la consolazione per il servitore del Vangelo che sa entrare nelle prove;
    • oppure, quando persuade a riconoscere come dalla paziente condivisione delle difficoltà legate alle molteplici relazioni che l’Apostolo deve intrattenere nasce una singolare e più matura esperienza di paternità spirituale.

    Paolo non sogna, non si fa illusioni, per noi tipiche degli anni del noviziato quando istintivamente ognuno si è creato immagini della sua missione futura. Ognuno oggi, come lui, si trova ad affrontare lo zoccolo duro della sua donazione; dopo decenni di servizio diaconale passando attraverso tante prove per le inevitabili delusioni e difficoltà che ogni giorno riserva, ora l’Apostolo si trova a sentirsi un servitore inutile perché tale è considerato da un insieme di fattori.

    La forza di reggere e superare, restando servitori del vangelo nel cuore delle fatiche quotidiane, spesso più emotive che fisiche, può venire proprio dalla lectio divina della menzionata lettera.

    Le prove che Paolo vive sono fondamentalmente tre:

    La prima è il sentirsi ormai respinto dalla maggioranza dei suoi fratelli ebrei:
    Scrive il Card. Martini: “egli pensava che la prima intenzione di Gesù fosse di affidargli la missione di parlare ai suoi fratelli, come d’altra parte aveva fatto quando andava di città in città visitando le sinagoghe”. Nella lettera nutre ancora un filo di speranza, ma si sta rassegnando all’evidenza: è avvenuta una frattura e ne soffre enormemente.

    Dal testo si avverte che questa è stata una prima grande delusione del suo ministero: coloro ai quali la Parola era anzitutto diretta, non rispondono.

    Le domande che vengono sono queste:
    Perché Dio lo permette?
    Perché le cose vanno così?
    Perché la Parola non è accolta da quelli a cui era stata direttamente e primariamente proposta?

    Mi viene in mente il dodicennio di generalato del Padre Pierluigi Marchesi: ha mandato messaggi e segnali in tutte le direzioni. Talvolta sono anche stati raccolti. Ma la sua Provincia è sempre stata la più ostile e sorda a ogni sollecitazione. Credo che una più o meno velata amarezza, congiunta alla malattia, pur vissuta nella fede e nell’offerta di sé, lo abbia accompagnato fino alla tomba.

    Coloro di noi che non sono chiamati ad esercitare il ministero della Parola attraverso il sacerdozio ministeriale, sono tuttavia “mandati” a portare il Vangelo, ad essere annunciatori di Buone Notizie in ogni latitudine. Questa missione ci compete per vocazione: “Andate…guarite…annunciate…” (Mt.10 ss).

    Non sono pochi a lamentarsi
    • per quell’invito ad andare, senza sapere dove,
    • per quel curare senza sapere chi,
    • per quel dover annunciare non si sa bene a chi, come, cosa…

    La seconda prova dell’Apostolo Paolo è costituita dai contrasti interni delle comunità. Dice il Card. Martini che “l’Apostolo sognava delle comunità unite, concordi, fraterne, piene di entusiasmo e anche unanimi. Invece l’esperienza amara – già espressa nella prima lettera ai Corinti ma che raggiunge il culmine qui – è di avere davanti comunità in cui ci sono molte gravi divisioni. Non soltanto interne, bensì rispetto a lui: malintesi, forme di diffidenza nei suoi riguardi.

    Anzi, la seconda lettera ai Corinti è scritta proprio per chiarire i malintesi, le diffidenze, i pregiudizi sorti nella comunità nei suoi confronti”.

    Le analogie con questa situazione non sono difficili. Ognuno facilmente si ritrova in essa. I chiarimenti possono nascere solo dall’incontro sereno, dal dialogo senza pregiudizi, partendo da interrogativi veri e non costruiti per dispute che accalorano inutilmente su falsi problemi, magari complessi, ma banalizzati e irrisolvibili a forza di battute e luoghi comuni. Esperienze negative che andrebbero assolutamente evitate perché producono proprio l’effetto serra: un clima invivibile.

    Poi c’è un terzo tipo di prove che sono di carattere interiore. Anche Paolo vi accenna, anche se in maniera discreta ma, talora, palese. Se ci è difficile dire esattamente in che cosa consistono queste sofferenze, tuttavia, conoscendo il temperamento del personaggio, si può pensare che anche lui andasse soggetto ad alti e bassi emotivi, che fosse preso da momenti di grande entusiasmo alternati da momenti di depressione, di fatica, stanchezza, noia del ministero.

    Disporre di un testimone così grande ma anche fragile, che fa della sua debolezza l’unico punto di forza, ci aiuta a prendere in mano la nostra situazione senza demoralizzarci: “8Siamo oppressi, ma non schiacciati; sconvolti ma non disperati. 9Siamo perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non distrutti. 10Portiamo sempre in noi la morte di Gesù, perché si manifesti in noi anche la sua vita.”

    In qualsiasi ministero, al proprio livello, ognuno di noi vive diverse prove. Importante è trovare insieme l’atteggiamento giusto da tenere per sentirci vivi nel ministero nel quale ci troviamo coinvolti adesso. Il card. Martini ci ricorda:

    “Dire che Paolo è nel vivo del ministero, significa non solo nel vivo dell’attività ma anche nel vivo delle sofferenze”.

    L’invito è di trovare il tempo di leggere tutta la seconda Lettera ai Corinti. Cogliendo la violenza dei sentimenti che attraversano la mente ed il cuore di Paolo, proveremo un calo delle nostre tensioni, un’attenuazione delle sensazioni di frustrazione che ci abitano.

    Anche il seguente, con il quale per il momento vi lascio, è un buon consiglio a portata di mano: “16Noi dunque non ci scoraggiamo. Anche se materialmente camminiamo verso la morte, interiormente, invece, Dio ci dà una vita che si rinnova di giorno in giorno. 17La nostra attuale sofferenza è poca cosa e ci prepara una vita gloriosa che non ha l’uguale. 18E noi concentriamo la nostra attenzione non su quel che vediamo ma su ciò che non vediamo: infatti, quel che vediamo dura soltanto per breve tempo, mentre ciò che non vediamo dura per sempre.”

    Fraternamente. Angulo

    Caro Fra Costantino

    Classé dans : LETTERE AGLI AMICI — 19 janvier, 2009 @ 4:45

    blockquote>sacrocuoredigesu1.jpg

    Milano, 19 Giugno 2009
    – Festa del Sacro Cuore di Gesù
    Carissimo Fra Costantino Dalla Mura,

    oggi per me è una bellissima giornata perché ho ricevuto la tua lettera che, per quanto breve – e lo motivi – mi manda un segnale preciso: un desiderio di comunicare che è reciproco, in un contesto di sordomutismo che assomiglia più ad una patologia dello spirito che ad un impedimento organico.

    Tu sei medico ed hai ogni giorno da svolgere un lavoro delicato con i tuoi pazienti da ascoltare e indirizzare, curare, ma io, se già per il piccolo mondo che frequento non sono nessuno, figuriamoci per il resto!

    Epperò, la fortuna che ho è di essere stato battezzato e cresimato. Dunque, figlio di Re. Per adozione. Di questo evento faccio memoria ogni giorno. E non posso togliermelo dalla testa, anche se la vita ha le sue stranezze e le mie contraddizioni s’intrecciano con essa, con sbalzi enormi di temperatura.

    Non so tu, ma io, da una cinquantina d’anni a questa parte, quando faccio qualche cosa, ho queste sensazioni:
    • di avere contro tutti quelli che fanno la stessa cosa,
    • di avere contro tutti quelli che fanno il contrario,
    • di avere contro tutti quelli che non fanno niente.

    E’ un’impressione mia o un fenomeno generale ? Vorrebbe dire “tutti contro tutti”. Ma a quale scopo?

    Poiché credo nel mondo che sta emergendo, cerco di muovermi
    • nell’ottica della cooperazione piuttosto che sulla competitività,
    • sul dubbio del mio valore piuttosto che sull’affermazione dello spirito umano,
    • sulla convinzione che esiste una connessione fra tutti gli individui. E non solo per via della comunione con la Trinità ma per le stesse leggi della natura. Che poi originano in Essa.

    La tua prima:

    Caro Nocent,

    ti ringrazio delle informazioni che così in abbondanza mi hai dato! Dammi tempo di sondarle perché quello a mia disposizione è veramente poco.

    Riguardo ai malati psichiatrici cronici ho saputo che a S. Colombano al Lambro la Regione non manda più ammalati e questo dopo averci fatto spendere montagne di soldi per adeguare di continuo le strutture!

    Purtroppo ce n’è abbastanza per demoralizzarci ma noi continuiamo ad andare avanti sperando che il buon senso prima o poi prevalga.

    Grazie di tutto e sursum corda.

    Ciao Fra’ Costantino.

    Caro Fra Costantino dans LETTERE AGLI AMICI

    Nella tua stringatezza, c’è l’essenzialità: buon senso (il sensum communem di Fedro) e aggredire i malanni con animo sereno e occhi di fede (sursum corda).

    Per un attimo mi hai fatto rammentare i latinucci. Così sono andato a pescarli per ripassare la lezione.

    Ricordi?

    Cerebrum non habet (Non ha cervello)

     dans LETTERE AGLI AMICI

    La volpe e la maschera (Vulpes ad personam tragicam)

    Personam tragicam forte vulpes viderat:
    «O quanta species, inquit, cerebrum non habet!»
    Hoc illis dictum est, quibus honorem et gloriam
    fortuna tribuit, sensum communem abstulit.
    (Fedro)

    Traduzione

    Per caso una volpe aveva visto una maschera tragica:
    «Oh quanta bellezza, disse, ma non ha cervello!».
    Ciò è stato detto per coloro ai quali
    la sorte ha concesso onore e gloria
    ma ha tolto la comune intelligenza.

    Già.
    Non sempre onore, gloria, bellezza, fortuna si coniugano con il sensum communem, con il buon senso comune che è indice di intelligenza.
    Intelligenza, dal latino intelligere cioè intus legere (leggere in profondità) significa comprendere il significato profondo della realtà.
    E questo non è scontato per nessuno.

    Già che ci siamo, perché non rileggere anche quella del lupo?

    lupusetagnus01agnellinolupo.jpg

    Lupus et agnus – Il lupo e l’agnello

    Quando si vuole lo scontro o una giustificazione alla propria prepotenza, ogni pretesto è valido, compresa l’interpretazione arbitraria e offesa di un gesto il cui significato è stato spiegato nelle motivazioni non offensive da chi l’ha compiuto.

    L’aveva capito Fedro 2000 anni fa, ma ancora oggi non lo capiscono in tanti…
    Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi.
    Superior stabat lupus, longeque inferior agnus.
    Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit:
    « Cur – inquit – turbulentam fecisti mihi aquam bibenti? »
    Laniger contra timens :
    « Qui possum – quaeso – facere quod quereris, lupe? A te decurrit ad meos haustus liquor. »
    Repulsus ille veritatis viribus:
    « Ante hos sex menses male – ait – dixisti mihi ».
    Respondit agnus:
    « Equidem natus non eram! »
    « Pater, hercle, tuus – ille inquit – male dixit mihi! »
    Atque ita correptum lacerat iniusta nece.

    Haec propter illos scripta est homines fabula qui fictis causis innocentes opprimunt.

    Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, giunsero allo stesso ruscello.
    Il lupo stava più in alto e, più lontano, in basso, stava l’agnello.
    Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio.

    « Perché – dice – mi hai fatto diventare torbida l’acqua che sto bevendo?
    E l’agnello, tremando:
    « Come posso – di grazia – fare quello che lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie sorsate! »
    Quello, respinto dalla forza della verità:
    « Sei mesi fa – aggiunge – hai parlato male di me! »
    Rispose l’agnello:
    « Ma veramente… non ero ancora nato! »
    « Per Ercole! Tuo padre – dice il lupo – ha parlato male di me! »
    E così, lo afferra e lo uccide dandogli una morte ingiusta.

    Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti.

    Chi avrebbe potuto immaginarlo! Cercando le favole in internet, sono capitato in questa straziante confessione di Luca Digonzelli

    “Non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Così, quando capitò a me, ero impreparato.

    Era la fine di Marzo del 2004. Il neurologo, dopo una lunga visita, disse: « Morbo di Parkinson all’esordio ». Mi sentii crollare il mondo addosso, mi sentii vecchissimo a 47 anni.

    All’inizio non volevo crederci, non ci credevo.

    Mi aggrappai disperatamente alla mia cervicale cronica e iniziai il pellegrinaggio di visite dai neurologi e dagli ortopedici.

    Alla fine dovetti arrendermi.

    La Spect (una specie di TAC) evidenziava una diminuzione di dopamina patologica: avevo il Parkinson.

    Ora cerco di conviverci ma non è facile.

    I farmaci, quando riesci a tollerarli, ti riducono i sintomi ma non fermano la degenerazione.
    Mi stanco facilmente. Ci sono giorni che non vorrei alzarmi dal letto. Devo concentrarmi per allacciare i bottoni della camicia e muovere il mouse del computer.
    Ho frequenti crisi di pianto, cambiamenti di umore e attacchi di agressività, ma cerco di avere comunque una vita normale. Voglio, finché ci riesco, una vita normale.
    Il mio Parkinson non è la Sclerosi Multipla o una delle tante malattie rare degenerative: per ora ha una progressione lenta, sintomaticamente controllabile.
    A coloro che dicono e pontificano che l’embrione è già vita umana chiedo: la mia vita cosa è?

    La vita degli ammalati di Sla, di Sclerosi Multipla cosa è?

    L’embrione deve avere i diritti di una persona e a noi ammalati vogliono toglierci il diritto della speranza di guarire.

    Sono molto deluso dalla posizione della Chiesa. Con il Papa ammalato di Parkinson potevano dare un grosso impulso alla ricerca scientifica.
    Ma, si sa, la Chiesa impiega 400 anni ad ammettere i propri errori (vedi Galileo)!

    Comunque, ognuno risponda alla propria coscienza.

    Allego, di proposito, la foto di un momento felice perché nel mio futuro voglio avere altri momenti felici.

    Ringrazio tutti coloro che sono andati a votare e hanno votato SI.

    Sono di:
    Colico (LC)

    La risposta di un Medico: Domenico Mastrangelo
    Caro Luca,
    ho letto la tua storia. Non mi interessa la questione dei referendum perché credo che politica e politici non possano fare nulla per situazioni come la tua. Per altro, ho anche paura che medicina e ricerca, almeno così come vengono gestite e amministrate in Italia, non siano assolutamente all’altezza dei compiti che troppo spesso una classe politica affarista e interessata, attribuisce loro.
    Vorrei, per spiegare quanto ho detto, raccontarti la mia storia di ricercatore universitario; ma forse sarebbe troppo lunga e magari aggiungerebbe inutili « ambasce » alla tua condizione.

    Posso però dirti che a 26 anni (e quattro specializzazioni !) dalla laurea in medicina, ho deciso che avevo dato troppo alla medicina « occidentale » e che era ora di esplorare « mondi diversi », culture non « omologate », conoscenze che la nostra medicina (dell’ »evidenza » della « scientificità » e di altre vaccate simili!) considera « non convenzionali » anche se hanno radici culturali spesso vecchie di millenni.

    Ho così scoperto l’omeopatia, la fitoterapia e tutte quelle medicine, appunto « non convenzionali » ed emarginate che non si fondano sullo studio delle malattie, ma sulla conoscenza dell’uomo.
    Ne ho riscontrato l’assoluta efficacia e mi sono convinto (non solo l’unico pazzo!) che la medicina « convenzionale », tutta basata sul « business » delle multinazionali del farmaco, non vuole né mai potrebbe desiderare la nostra salute, ma, caso mai, prolungare all’infinito le sofferenze della specie umana, per trarne il massimo del profitto. Si tratta di un sistema ormai così strutturato e radicato, che è praticamente impossibile estirparlo se non a costo di una profonda rivoluzione culturale e sociale.
    Tuttavia, anche se non so ancora per quanto tempo, le medicine « non convenzionali », come l’omeopatia, vengono non solo praticate da un numero crescente di colleghi, ma anche « frequentate » da un numero considerevole di pazienti (stufi dell’ »offerta » della sanità nazionale).
    Io, ormai, mi occupo quasi soltanto di queste medicine, sono completamente soddisfatto e credo, ma te lo dico sommessamente, che in queste medicine ci siano ottime prospettive per la terapia di malattie come la tua.

    Se ti va di provare, sono a tua disposizione.
    Un caro saluto e tanti auguri per il futuro
    Domenico

    E POI UN POST DI ANGELA

    Carissimo Luca, non hai idea di quanto ti capisca e condivida la tua sofferenza e le tue speranze, e soprattutto le tue opinioni. Io ho la sclerosi multipla da 10 anni, e da 3 mi ha portato via lentamente la vita. Ormai non cammino quasi più se non aggrappandomi dovunque con entrambe le mani, avendo perso completamente l’equilibrio ed essendo le mie gambe rigide e sempre stanche in una maniera impressionante, se mi chino non ce la faccio a rialzarmi, sono praticamente incontinente e mi trascino dietro una depressione ormai cronica per la quale sono più i giorni che piango di quelli che me la passo alla bell’e meglio.
    Ho 4 rampe di scale da salire per arrivare in casa e da scendere quelle poche volte che si va da qualche parte; al momento sono 10 giorni che non esco di casa, è come essere all’ergastolo. Ogni più piccola cosa mi costa una fatica tale che ho ormai rinunciato a tutto. Mio marito fa una vita d’inferno per aiutarmi (e ringrazio Dio che mi è sempre rimasto accanto).

    E non fanno niente per noi. Ma hanno il coraggio di chiamarla « vita ».
    Tu hai 47 anni, io ne ho 46. E siamo condannati. Perché « loro » ci hanno condannati. Non augureresti a questa gente la stessa sofferenza?
    Io sì, con tutto il cuore. E forse capirebbero, se toccasse a loro.
    Tanti auguri. Angela
    Ardiglione anche lui dice la sua:
    ‘O quanta species’ inquit ‘cerebrum non habet.’ (Fedro)

    L’embrione umano è già persona ?

    La domanda mi rammenta una tavoletta di Fedro:
    Personam tragicam forte vulpes viderat;
    quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat,
    ‘O quanta species’ inquit ‘cerebrum non habet.’
    Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriam
    Fortuna tribuit, sensum communem abstulit.

    Una volpe per caso aveva visto una maschera tragica;
    e dopo averla girata qua e là una e due volte,
     » Oh quale grande aspetto, disse, non ha il cervello ».
    Questo fu detto per quelli cui Fortuna attribuì
    onore e gloria, ma tolse il senso comune.

    Nel nostro vocabolario il termine persona significa essere umano in quanto tale. Data l’etimologia del termine, persona è chi è in grado di vestire una maschera assumendo un ruolo che è il frutto delle sue relazioni coscienti con il mondo . Un embrione non ha relazioni con il mondo perché non possiede un cervello. Dire che le ha perché, in potenza, le può sviluppare è come pretendere credito da una banca perché, potenzialmente , siamo tutti miliardari.

    Solo il 12% degli embrioni concepiti si sviluppa naturalmente in un nuovo nato: la riproduzione sessuata è un fatto complesso, genera creature che devono variare rispetto ai genitori, con un tasso di mutazioni genetiche che assicuri l’evoluzione della specie, per garantirne la sopravvivenza in un ambiente continuamente mutevole. Molte delle mutazioni sono incompatibili con la sopravvivenza dell’embrione.

    Un embrione è un’appendice di un corpo umano con cui la natura, a partire da un uovo ed uno spermatozoo, privi di coscienza, prova a generare un nuovo essere che accolto, amato, adeguatamente sviluppato e istruito ha la potenzialità di entrare in rapporto con il mondo sviluppando una coscienza di se. Ma fino a che non è dotato di tali capacità è come sostenere che il mio dito mignolo sia una persona.”

    Per coronare l’opera, oggi da fra Marco un messaggino sul cellulare che dice:
    “L’estate irrompe col suo calore. I giornali raccontano di scandali, guerre e lutti; le persone sembrano vagare nel vuoto della coscienza. Anche l’Ospitalità sembra entrata in crisi. Non ci resta che riprendere il passo e riappropriarci di Dio che vive e ci si presenta nei malati e nei poveri”.

    Che strano! In questi alterni passaggi è condensata tutta la crisi della medicina e della società civile e religiosa.

    E qui mi viene spontanea una domanda che in questi giorni non mi dà tregua: si può procedere alla riforma o ri-fondazione di un antico Ordine ospedaliero senza porsi degli interrogativi non da ripiegati su se stessi ma con UNO sguardo planetario?


    uote>siamotuttinellastessabarcamariniverz9788886270908.jpg

    Prima di domandarsi dove va l’Ordine o, peggio, di fornirne in anticipo la risposta, prima ancora di aver provocato la domanda, bisognerebbe forse provare a chiedersi dove va la medicina.
    Due giovanotti, uno di 82 anni, il Card. Carlo Maria Martini e l’altro di 89 anni Il Don Luigi Verzé del San Raffaele di Milano, 61 di Messa, se lo sono chiesti seduti “sulla stessa barca”, appoggiati all’Albero Maestro.

    donverzeilfoglio.jpg

    Don Verzé, il pioniere solitario, nell’esporre al Cardinale il metodo che intenderebbe mettere in atto per rigenerare l’uomo di questo terzo millennio. “un metodo mediato dalla taumaturgia che abbiamo nel sangue, il sangue del Figlio dell’uomo-Dio”, da uyomo della Chiesa che ha scelto di realizzare il suo sacerdozio sull’ “andate, insegnste, gusrite”, così scrive:

    “Tutto parte dall’intenzione di offrire all’uomo sempre migliori sussidi, non solo per fargli sapere che cosa è biologicamente e clinicamente, ma anche chi è in quanto potenzialità di pensiero e di spirito.” Ed aggiunge: “Il corpo dell’uomo è sintesi biologicamente miniaturizzata del cosmo. L’intelligenza e lo spirito sostanzialmente sono analoghi a quelli dell’ordine angelico. Premesso che la vita è di Dio dall’origine, e che Lui solo può determinarne l’inizio e la fine, eccoLe, Eminente Padre, il Progetto San Raffaele di Medicina nuova”.

    Il vegliardo, sempre creativo e propositivo spiega:
    “ Si tratta, in sintesi, del superamento del concetto di ospedale come remedium, per farne un luogo di protezione ininterrotta del ben-essere somatico-psichico-intellettuale e spirituale, dall’embrione, o meglio dal DNA, all’età più matura”.

    Quest’uomo di Dio abituato a “dire e a fare ” ciò in cui crede, sintetizza il concetto in una frase ad effetto: “ PIU’ ANNI ALLA VITA, PIU’ VITA AGLI ANNI”.

    E poi spiga il senso: “ Più anni alla vita, affinché l’uomo abbia il tempo di assestarsi socialmente e ambientalmente conoscendo il mondo che lo circonda quale divino paradiso terrestre. Più vita agli anni, affinché l’uomo, integro fisiologicamente e neurologicamente, sia aiutato a respirare nella sua sfera spirituale”.

    Ma questi enunciati como possono essere posti in essere?

    Don Verzé lo spiega così: “Per ottenere questi scopi, si deve ricorrere inanzitutto a una medicina “predittiva”, che parte dal sequenziamento del genoma, da informazioni sulle varianti dei nostri circa trentamila geni e delle proteine. Si conoscerà così, predittivamente il rischio di malattia e si avrà la possibilità di prevenirla o di curarla nel modo più mirato.”

    Ma lo sguardo di Don Luigi è lungimirante: “E’ poi evidente che l’intelletto trarrà beneficio da una maggior salute del corpo, rivelandosi sempre meglio come componente-cerniera tra massa corporea e sfera dell’anima”.

    Poi una pausa per ascoltare la voce del Cardinale Martini:

    martinicardinalmartini2ilfoglio.jpg

    « Considero bello che si vogliano offrire all’uomo sempre migliori sussidi, proteggendone il ben-essere somatico-psichico-intellettuale, come Lei dice, sin dall’embrione, o piuttosto dal DNA. All’età più matura e concretamente fino alla morte. Mi piace anche la formula “ PIU’ ANNI ALLA VITA, PIU’ VITA AGLI ANNI”.

    Non so esprimere il mio giudizio sui mezzi per raggiungere a questi traguardi, ma sento che Lei si pone totalmente dalla parte, non solo dell’uomo, ma di Dio stesso, che vuole la piena felicità ed espansione di ciascuno di noi.

    Mi rallegro anche del fatto che l’intelletto trarrà beneficio da una maggior salute dell’uomo. Quanto all’espressione “medicina predittiva”, vorrei che fosse chiaro che essa rispetta ogni momento dell’essere umano.

    Ritengo, tuttavia, soprattutto importante dire che la vita fisica non è tutto, che essa in alcuni casi va anche sacrificata per un bene superiore: penso, per esempio, al martirio.
    In tutto questo mi pare che il vangelo esprima i desideri profondi dell’uomo e gli mostri concretamente come realizzarli, non solo attraverso i progressi, ma anche attraverso le inevitabili rotture”.

    Poi una pausa per ascoltare la voce del Cardinale Martini:

    “Considero bello che si vogliano offrire all’uomo sempre migliori sussidi, proteggendone il ben-essere somatico-psichico-intellettuale, come Lei dice, sin dall’embrione, o piuttosto dal DNA. All’età più matura e concretamente fino alla morte. Mi piace anche la formula “ PIU’ ANNI ALLA VITA, PIU’ VITA AGLI ANNI”.

    Non so esprimere il mio giudizio sui mezzi per raggiungere a questi traguardi, ma sento che Lei si pone totalmente dalla parte, non solo dell’uomo, ma di Dio stesso, che vuole la piena felicità ed espansione di ciascuno di noi.

    Mi rallegro anche del fatto che l’intelletto trarrà beneficio da una maggior salute dell’uomo. Quanto all’espressione “medicina predittiva”, vorrei che fosse chiaro che essa rispetta ogni momento dell’essere umano.

    Ritengo, tuttavia, soprattutto importante dire che la vita fisica non è tutto, che essa in alcuni casi va anche sacrificata per un bene superiore: penso, per esempio, al martirio.

    In tutto questo mi pare che il vangelo esprima i desideri profondi dell’uomo e gli mostri concretamente come realizzarli, non solo attraverso i progressi, ma anche attraverso le inevitabili rotture”.

    A questo punto mi verrebbe d’istinto citare il Dott. RyKe Geed Hamer, osannato dai malati, osteggiato dall’Ordine dei Medici, che colleziona lauree ad honorem in medicina in certi Paesi, e processi in altri, otre a riempire periodicamente le cronache dei quotidiani di mezza Europa con le sue vicende. Infatti, oncologo e ricercatore, basta il suo nome perché nel mondo della Sanità si assista ad una levata di scudi. E, se è vero quanto scrivono, “le sue casistiche di guarigione delle malattie degenerative sono impressionanti, tali da far vacillare l’edificio della medicina ufficiale…” (In LA MEDICINA SOTTOSOPRA – E se Hamer avesse ragione?” (Ed. AMRITA).Poi una pausa per ascoltare la voce del Cardinale Martini:

    “Considero bello che si vogliano offrire all’uomo sempre migliori sussidi, proteggendone il ben-essere somatico-psichico-intellettuale, come Lei dice, sin dall’embrione, o piuttosto dal DNA. All’età più matura e concretamente fino alla morte. Mi piace anche la formula “ PIU’ ANNI ALLA VITA, PIU’ VITA AGLI ANNI”.

    Non so esprimere il mio giudizio sui mezzi per raggiungere a questi traguardi, ma sento che Lei si pone totalmente dalla parte, non solo dell’uomo, ma di Dio stesso, che vuole la piena felicità ed espansione di ciascuno di noi.

    Mi rallegro anche del fatto che l’intelletto trarrà beneficio da una maggior salute dell’uomo. Quanto all’espressione “medicina predittiva”, vorrei che fosse chiaro che essa rispetta ogni momento dell’essere umano.

    Ritengo, tuttavia, soprattutto importante dire che la vita fisica non è tutto, che essa in alcuni casi va anche sacrificata per un bene superiore: penso, per esempio, al martirio.

    In tutto questo mi pare che il vangelo esprima i desideri profondi dell’uomo e gli mostri concretamente come realizzarli, non solo attraverso i progressi, ma anche attraverso le inevitabili rotture”.

    A questo punto mi verrebbe d’istinto citare il Dott. RyKe Geed Hamer, osannato dai malati, osteggiato dall’Ordine dei Medici, che colleziona lauree ad honorem in medicina in certi Paesi, e processi in altri, otre a riempire periodicamente le cronache dei quotidiani di mezza Europa con le sue vicende. Infatti, oncologo e ricercatore, basta il suo nome perché nel mondo della Sanità si assista ad una levata di scudi. E, se è vero quanto scrivono, “le sue casistiche di guarigione delle malattie degenerative sono impressionanti, tali da far vacillare l’edificio della medicina ufficiale…” (In LA MEDICINA SOTTOSOPRA – E se Hamer avesse ragione?” (Ed. AMRITA).

    hamer.jpg

    Cardinale Martini

    “Forse Lei si aspetta di più da una mia risposta, ma io non posso entrare in questa descrizione analitica della medicina: mi accomuno alla maggior parte degli uomini, che utilizzano la medicina, ma non la conoscono.
    Ho colto però una parola sulla quale desidero soffermarmi brevemente: spirito. Essa mi porta a pensare allo Spirito Santo, e questo posso dirlo: sono convinto che lo Spirito Santo spinga a questa ricerca scientifica e quindi sono grato a coloro che la compiono.

    C’è anche un’altra affermazione, nella Sua domanda, che voglio sottolineare: l’uomo senza l’anima non sarebbe uomo. Mi sembra che colga gli aspetti fondamentali della questione.
    Per quanto riguarda il resto, lo ripeto, posso solo ammirare e cercare di comprendere. Questo non mi autorizza a dare un mio giudizio preciso, anche se le speranze dell’umanità sono riposte nella ricerca e nelle risposte che essa sa conseguire. Ma vorrei anche aggiungere che, per quanto si faccia per la salute dell’uomo, c’è sempre un vincolo invalicabile che è la morte”.

    Il dialogo tra i due continua ma, per il momento, mi fermo qui, con un invito a te, Fra Costantino ed anche a Fra Marco, come a tanti altri: non isolatevi, non andatevene delusi per i fatti vostri ma uscite dalle cerchie ristrette del numero chiuso e prendete in seria considerazione le provocazione, esaminatele, confutatele…E’ il solo modo per crescere.
    Shalôm!
    Angelo Nocent

    TUTTO E’ COMPIUTO – Lory

    Classé dans : LA POSTA DI LORY — 12 janvier, 2009 @ 9:40

    pasquaradiceilvenerdsanto.bmp

    Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perchè il Figlio glorifichi te….
    Poichè tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perchè Egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
    Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo.
    Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare.
    E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.

    Ho fatto conoscere il tuo Nome agli uomini che mi hai dato dal mondo…Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua Parola.

    Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perchè le parole che hai dato a me… Io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e…hanno creduto che tu mi hai mandato.

    Io prego per loro…non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perchè sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue…e tutte le cose tue sono mie…e io sono glorificato in loro…Io non sono più nel mondo…essi invece sono nel mondo….e io vengo a te….
    Padre Santo custodisci nel tuo Nome coloro che mi hai dato, perchè siano una sola cosa….come noi.
    Non chiedo che tu li tolga dal mondo….ma che li custodisca dal maligno….
    Essi non sono del mondo….come io non sono del mondo. Consacrali nella Verità…La tua Parola è Verità….Come tu mi hai mandato nel mondo…anch’io li ho mandati nel mondo…per loro Io consacro me stesso, perchè siano anch’essi consacrati nella Verità.( Gv 17. 1-19.)

    Questo è il passo del Vangelo secondo Giovanni….che io amo più di ogni altra cosa…questa non è che una parte della meravigliosa preghiera che Gesù fa antecedentemente alla Sua Passione….Lui prima di lasciarci prega…ci raccomanda…e ci affida al Padre…con una tenerezza infinita…
    Ecco… quando il tuo cuore è triste….e ti trovi nello sconforto…leggi questa meravigliosa preghiera e così….ti sentirai avvolto dal Suo immenso Amore….Lui asciugherà le tue lacrime…e trasformerà la tua tristezza in danza!

    123
     

    Le Blog de la Médit' |
    MON SAUVEUR M'AIME |
    Islam |
    Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | anneecalvin2009
    | L'ISLAM
    | SAN RICCARDO PAMPURI O.H. -...